anno 2012 |
l' Esperienza della trasformazione
Sergio Zanone
Nel primo dei “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905 ) Sigmund Freud parla della sublimazione della pulsione sessuale come uno dei principali fattori di civilizzazione dell' umanità : “Gli storici della civiltà “ , dice Freud , “ sembrano essere concordi nel supporre che , mediante questa deviazione di forze pulsionali sessuali dalle mete sessuali e il loro rivelarsi su nuove mete – processo che merita il nome di sublimazione - , si ottengono importanti componenti per tutte le operazione della civiltà... perciò essi ( i meccanismi di sublimazione) risvegliano forze psichiche contrarie ( moti di reazione) ...il disgusto, il pudore e la morale”. Secondo Freud l' oggetto sessuale è normalmente sopravvalutato dalla psiche del soggetto, ovverosia costituisce di norma una totalità : l' oggetto è l' insieme di parti del corpo ciascuna delle quali, presa singolarmente, rappresenta una meta sessuale provvisoria del percorso di soddisfazione del desiderio sessuale che mira , come meta specifica e definitiva, all' unione dei genitali vera e propria. In questo processo ad metam, “ nella maggiorparte dei casi il carattere morboso della perversione non è riscontrabile nel contenuto della nuova meta sessuale, bensì nel suo rapporto con la normalità”; il meccanismo diventa patologico quando la libido si fissa esclusivamente su una parte del tutto, universalizzandola: a seconda del modo di fissazione sulla parte coinvolta, si distinguono differenti sindromi isteriche o psicotiche: “ ecco che nella esclusività e nella fissazione della perversione noi vediamo soprattutto la giustificazione a considerarla un sintomo morboso”. Il bisogno di contemplare l' oggetto nella sua totalità rientra quindi nello sviluppo psichico normale dell' individuo ; lo sguardo viene addirittura da Freud subordinato alla sensitività epidermica, al contatto con la pelle : “ Una certa misura di toccamento è, almeno per gli uomini, indispensabile al raggiungimento della meta sessuale normale. E' anche generalmente noto quale fonte di piacere da un lato e quale afflusso di nuovo eccitamento dall' altro si ottiene dalle sensazioni di contatto con la pelle dell' oggetto sessuale...Similmente avviene con la visione, che in ultima analisi deriva dal toccamento. L' impressione ottica rimane la via attraverso la quale più spesso è risvegliato l' eccitamento libidico, e sull' accessibilità di tale via ...conta la selezione naturale in quanto incoraggia l' oggetto sessuale a sviluppare la sua bellezza. Il coprimento del corpo va di pari passo con la civiltà, tiene sveglia la curiosità sessuale, la quale aspira a completare per sé l' oggetto sessuale discoprendone le parti nascoste, ma che però può essere deviata (“sublimata”) nell' elemento artistico quando si è in grado di distoglierne l' interesse dai genitali e indirizzarlo alla struttura complessiva del corpo... la potenza che si oppone al piacere di guardare e che eventualmente è da esso negata, è il pudore”. L' opera artistica di Gian Paolo Lucato sembra talora aquisire il carattere sessuale posto in evidenza da Freud : seducente come il corpo femminile il corpo-opera chiede di essere scoperto ed esaltato attraverso una bellezza che non vuole lasciarsi vedere ma solo evocare . Il pudore è la potenza del sacro poichè contrasta lo sguardo nella misura in cui cerca di opporsi al piacere (profano) della risoluzione orgasmica; il pudore sovrappone alla nudità quei veli che lo sguardo cerca continuamente di togliere : vi è un conflitto sessuale psichico interno , irrisolvibile. La sacralità del pudore, in quanto non-volontà di potenza , si oppone alla volontà di potenza dello sguardo disvelante. L' opera è in una tensione senza fine, la simmetria delle forze è perfetta, la tragedia di Edipo si è fermata per sempre nel centro dinamico dell' equilibrio sapienziale che si colloca tra la Conoscenza del re Edipo e la Conoscenza dell' indovino Tiresia e, non procedendo oltre, costringerà il povero Edipo al destino del pellegrino (la via, il cammino, il sentiero: per una lettura “sapienziale” del Complesso di Edipo, si veda il saggio di Mario Vegetti , Forme di sapere nell' Edipo Re, nella raccolta di saggi “L' Enigma di Edipo” a cura di Umberto Curi e Martina Treu, Ed. IL Poligrafo: “la forma del sapere di Edipo – indiziario, indagatore ,metodico... saphes...giunto al compimento vittorioso dell' inchiesta, questo sapere eccessivo è costretto alla cecità che lo azzera, perchè, a differenza di quello di Tiresia, non ha altro sguardo che quello degli occhi....Tiresia rappresenta invece una forma positiva di sapere,che si colloca in posizione simmetrica a quella di Edipo...è la verità, la aletheia, la visione totale e immediata delle cose e dello spessore del passato che le determina...): il centro è il limite, il centro è la proiezione della linea di confine, la forma è la linea di confine, nel centro converge la forma. Due le forme principali del sapere: la conoscenza “occidentale” figlia della civiltà Greca , fondamentalmente statica , legata ai concetti di essenza e sostanza e a quello di azione ed il sapere “orientale” nella sua accezione totalizzante, dinamica, trasformativa. L' esistenza dell' uomo è il limite del finito, pensare è cingere (chinthya), rivestire di forma: nel centro converge il pensiero.( D' altronde, la parola infinito esprime la negazione di ogni limite... René Guénon, L' uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Adelphi Ed.) Parossismo. L' Umanità ha ereditato il destino di Edipo , cioè il momento preciso in cui visione e parola si confondono :
Colui che sa non parla, colui che parla non sa
(Tao Te Ching)
Il centro, è il Centro dell' Essere.
“colui che parla non sa” è Edipo; “Colui che sa non parla” è Tiresia.
Chiunque fra noi comprenda queste parole: “Non Lo conosco , eppure Lo conosco” , quegli in verità lo conosce (Brihad -Aranyaka Upanishad)...Non conoscerLo è infatti conoscerLo (nella Sua essenza) , conoscerLo ( nelle sue manifestazioni) è non conoscerLo ( quale è in realtà) (Tchoang-tseu) ( René Guénon, op. cit.)
Ecco: le cose non sono mai interamente bianche o nere , sono grigie... la nostra dimora è discontinuità e variazione, impermanenza. La conoscenza , la morale, le emozioni, i sentimenti , le passioni tutte sono gradazioni del grigio: mescolanza e variabilità procedono dall' Unità , questo è il mistero del Tao. Il Sé : il nucleo intimissimo della soggettività , il seme che costituisce il fondamento di ciò che noi occidentali chiamiamo “ identità” , rappresenta il paradigma dell' Unità nella variabilità. Infatti i gusti, gli interessi , le conoscenze personali cambiano continuamente nella vita che scorre dall' infanzia alla maturità sino alla vecchiaia, e tuttavia vorremmo esistere per sempre nell' identità ovverosia senza soluzione di continuità , ma così non è ; Marìa Zambrano parla dell' “essenza tragica” dell' uomo, della necessità di trascendere un passato già dato in vista di un fine che corrisponde all' argomento individuale : la necessità di dare un senso alla propria vita. Ciascun uomo è un pellegrino del cuore poichè ricerca qualcosa che sembra sfuggirgli come sabbia bagnata ; l' uomo non sa fare, o forse non può , la cosa più semplice: vivere il presente. E' perennemente in ritardo poiché nel momento in cui pensa la propria vita l' attimo è irrimediabilmente trascorso: il pensiero razionale condanna l' uomo a vivere nel passato. Camminare sopra una meta e tuttavia non poter chinarsi a toccarla, sfiorare solamente questa meta e lungo la via , come fosse il “presagio” di un incontro, ritrovarne i petali:
Quanto sono distanti Dagli affanni del mondo Questi ciliegi selvatici! (Furumaru)
Sotto candide nuvole Sotto il ciliegio in fiore Ci siamo incontrati (Kisui)
(Dall' Hagakure di Yamamoto Tsunemoto, trad. Bruno Ballardini, ed. Mediterranee)
E' curioso che ogni uomo il quale nella vita biologica normale necessita di “ Una certa misura di toccamento per raggiungere la meta sessuale normale” , è invece incapace di toccare la radice del proprio essere in cui già si trova; come dice Ernst Bloch ( Spirito dell' Utopia, trad Vera Bertolino e Francesco Coppellotti, BUR Edizioni):
Troppo vicino
“Io sono in me. Che io cammini e parli non mi è presente...e mi sono sempre tanto vicino, bevendo e no, che sono soltanto vissuto e non ancora visto”
Viviamo nel presente quindi, “perchè non esiste nulla al di fuori di ciò che sentiamo momento per momento”(Hagakure) ( certamente questa frase è più poetica della “Vita è tutto ciò che accade” di Wittgenstein), ma non conosciamo che il nostro passato perchè è qui, nel presente , che il “presagio” è già trascorso e , sfiorandoci, ci ha donato il sentimento dell' arte :
“Non si volle mai nulla che non fosse vedere apertamente se stessi” ( Ernst Bloch, op . cit)
In Ernst Bloch l' opera d' arte è il “presagio” dell' incontro con il Sé, ma questo è un “presagio” alquanto particolare (anacronistico, direi) poichè esso non ci dice ciò che avverrà bensì ci parla di un incontro già avvenuto: sempre in ritardo come il Bianconiglio, senza saperlo siamo destinati ad inseguire eternamente l' appuntamento mancato, il più importante della nostra vita: e come i viandanti incontrano paesaggi sempre diversi e attraversano pianure, monti , fiumi, boschi , così Gian Paolo ci conduce attraverso questi suoi Transpaesaggi ; in ognuno di essi ci dona qualcosa, lascia accadere , pone una traccia , nasconde un indizio: Ermes , il divino guaritore. Attraversare il corpo-foresta è come avvicinarsi alla bellezza della corporeità nella pienezza delle sue forme; togliere i veli è antidoto dell' arte che ci aiuta a guarire dalla disperazione gnostica dello spirito decaduto nella corruzione del corpo mortale o dal nichilismo del non-senso esistenziale contemporaneo; con le parole di Yunus Emre ( poeta Sufi dell' Anatolia, XIII secolo, tratte dal saggio “Contro i mastri dello sconforto” di Nancy Huston, Excelsior Edizioni) :
Ci siamo immersi nell' Essenza e fatto il giro del corpo umano Trovato il corso degli universi tutto intero nel corpo umano E tutti quei cieli vorticosi e tutti quei luoghi sotto questa terra Quei settantamila veli nel corpo umano scoperti
...
Settantamila: il sette è il numero simbolico che rappresenta sovente l' attributo numerico della creazione ( ad esempio nella religione indiana e nella mistica islamica; più precisamente il numero ciclico per eccellenza è il 72 che si riferisce in particolar modo alla divisione geometrica del cerchio: 360= 72 x 5, R.Guènon , L' Uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Adelphi ed.) . Settantamila sono i veli dell' impermanenza delle cose , la totalità degli strati dell' esistente ( macrocosmo e microcosmo: vi è corrispondenza tra il mahapurusa , l' “uomo cosmico” che simboleggia la totalità dell' universo, con ciascuno di noi , singolo individuo)
Sette sono i veli di Lucato.
La foresta. Gaston Bachelard ci introduce nell' immensità della foresta citando Marcault e Thérèse Drosse : ”Soprattutto la foresta , col mistero del suo spazio indefinitamente prolungato al di là del velo dei tronchi e delle foglie, spazio velato per gli occhi, ma trasparente all' azione, è un vero trascendente psicologico” (L' education de demain). Transpaesaggi, trascendenza: la visione sembra penetrare nella dimensione della metafisica indiana conosciuta come lo “stato di sogno”, ( la condizione Taijasa: “il “Luminoso” , nome derivato da Tejas , che è la designazione dell' elemento igneo, ... e ha per dominio il mondo della manifestazione sottile” (René Guénon, op. cit.) ; il sentiero del bosco ci conduce verso il mondo “ideale” dell' Hiranyagarbha , l' embrione d' oro o germe primordiale della Luce cosmica ( si noti come il secondo velo sia di colore giallo) , tappa nel cammino dell' illuminazione che precede la condizione di Prajna o “di sonno profondo”: dove le cose si svelano, le forme scompaiono, sono riassorbite nella potenza originaria del Sé . Questa facoltà dell' Essere , in accordo con l' esegesi più profonda del pensiero Platonico ed Aristotelico, nella sua più intima essenza è im-potenza , in-attività . In questo stato di beatitudine del sogno divino l' Essere conosce se stesso e conoscendosi si ama ( il logos Giovanneo, la definizione Trinitaria Dantesca) : nella Coscienza totale (Chit) il rapporto conoscitivo tra il soggetto ( Sat = Essere puro, il contemplante) e l' oggetto ( Ananda = il Beato, il contemplato) è quindi luminoso , materno, trinitario e , soprattutto, assolutamente passivo:
“La Via è costante nel non- agire, eppure non c' è niente che non si compia
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La calma assoluta è la regola del mondo”
( Lao Tzu, Tao Te Ching, trad Paolo Ruffilli, BUR)
Questo Prajna, dice Guénon, è l' Ordinatore interno che stando al centro stesso dell' Essere governa e controlla tutte le facoltà corrispondenti ai suoi diversi stati, anche se Egli stesso resta “non agente” . Penetrare nella foresta non è solo una necessità di ascesi e di purificazione ma è soprattutto un atto di libertà , azione vera: “Durante la veglia il soggetto trascina con sé il proprio personaggio, quello che ha via via formato inconsciamente, con il suo relativo conflitto. Dal momento che non esiste personaggio senza conflitto...l' azione propriamente detta è trascendente, disfa il sogno e con esso l' atemporalità; crea il tempo specifico della vita della persona che è appropriazione del tempo successivo... disfa il personaggio e contemporaneamente risolve il conflitto” ( Marìa Zambrano , Il sogno creatore, Bruno Mondadori ed., Trad Vittoria Martinetto). Questo cammino sapienziale ha quindi un significato eminentemente etico di “smascheramento”; il tragico conflitto interno all' individuo tra l' istanza psichica denominata “soggetto” e l' istanza denominata “ persona” , come accadde ad Edipo, può finalmente essere risolto. Non così facilmente. Dietro di sé lascia vittime e sofferenza. Ciò che accade , nel linguaggio antropologico di C. Levy Strauss , è la trasformazione della Natura in Cultura ; questo processo trans-formativo avviene per giustapposizione di gradi infinitesimali ovverosia, adoperando il linguaggio figurativo di Lucato, attraverso la discontinuità di sequenze o strisce giustapposte sopra un gradiente luce/oscurità ( in fisica la variazione degli stati energetici avviene per Quanti d' azione , Max Plank): la frattura, la crepa , il fra, il ma (Giapponese) : lo sfasamento delle esistenze nel rapporto soggetto/oggetto, nel rapporto io/tu : “Nottetempo, quell' accenno di crepa è diventato fessura, fenditura, - faglia – fossato; e mentre l' infimo diventa infinito, è “tutto”, tra loro, a risultarne contagiato” (Francois Jullien , Le trasformazioni silenziose, Raffaello Cortina Editore). “Il gusto è capacità di osservare e conoscere le più sottili sfumature”(Nietzsche); “il fatto che Nietzsche ricordi come la parola greca che designa il sapiente si colleghi a sapio (= io gusto) e a sapiens ( colui che gusta) ... indica il rilievo filosofico attribuibile al nesso saggezza-gusto... rinvia alla capacità di conoscere e di vivere non in base a contrasti assoluti ma in grazia a differenze di grado... anche all' interno di sé, significa misurarsi”.( Giangiorgio Pasqualotto, dal saggio Nietszche, Saggezza e grande salute in Oltre la filosofia, Angelo Colla Editore) . Sophia è la sapienza che gusta le più sottili sfumature.Tra le più importanti linee interpretative della “Saga di Gilgameš” ( la vicenda epica di origine sumerica narrata nella sua epopea classica dallo scriba babilonese Sinleqiunnini) ricordiamo qui la lettura in chiave sapienziale di G. Buccellati e di Giovanni Pettinato. L' unione sessuale dell' uomo-bestia Enkidu ( l' uomo primordiale creato dagli dei con la creta, il selvaggio primitivo dello stato di Natura che dimorava con le bestie nella steppa e destinato a ritornare creta ) con la Prostituta Sacra Ŝamhat ( il “sacro” piacere dei sensi del Kamasutra : yoga è unione di corpi , Ŝamhat emanazione del verbo solare, il Dio Ŝamaŝ) salva Enkidu dal “brutale” stato selvaggio e questa unione necessariamente precede la successiva lotta nella foresta dei cedri di Gilgameš e di Enkidu contro il mostro Hubaba (colui che si nasconde ed assorbe la forza vitale: le passioni, gli stati emotivi dell' uomo incutono paura, e la paura paralizza) . Anche Gian Paolo ritrova nel suo cammino la Prostituta Sacra . Ora, poiché ad ogni azione corrisponde una reazione non solo sul piano fisico ma anche sul piano etico , nel contatto con la Prostituta Sacra Enkidu perde l' innocenza del suo cieco , primitivo istinto sessuale ed acquisisce la consapevolezza della responsabilità etica delle proprie azioni. Enkidu incomincia a vedere nel modo di Edipo e tuttavia, paradossalmente, proprio questo sguardo lo condurrà nuovamente alla cecità : l' ordine, l' equilibrio formale sorge dal disordine e vi ritorna, come un onda del mare. In altri termini Enkidu impara a discriminare il bene e il male. Sotto questo aspetto la vicenda di Enkidu è paradigmatica e rappresenta un importante parallelo con il racconto biblico della Genesi in cui ritroviamo le corrispondenti figure simboliche: l' albero della conoscenza, la sessualità (la coppia Adamo ed Eva) , la trasgressione di un tabù, il rimorso, la morte come punizione divina. Il rapporto con la Prostituta Sacra ( il tabù violato, simile all' incesto di Edipo) darà inizio ad una serie di eventi che alla fine provocheranno la condanna da parte degli dei e quindi la morte di Enkidu a causa di uno strano “morbo misterioso” , forse il “rimorso” ?( sappiamo infatti che il rimorso è il sintomo principale della coscienza etica : la fessura in quanto sintomo del rimorso?) .
“mi prese e mi condusse nella casa buia, l' abitazione della dea! degli Inferi, nella casa dalla quale chi entra non può più uscire,
per una via che non si può percorrere indietro, nella casa in cui gli abitanti sono privati della luce; dove il cibo è polvere, il pane argilla,”
( dalla Saga di Gilgameš, a cura di Giovanni Pettinato, Oscar Mondadori)
L' oggetto femminile nella sua valenza sessuale e corporea dal punto di vista psicogenetico è circolare e terminale come la lettera maiuscola Omega Ω dell' alfabeto greco, il ventre fecondo ( da Alfred Kallir, Psicogenesi dell' Alfabeto ; questa lettera “O” è anche reduplicata nella forma minuscola ω : simile al seno, questo simbolo si avvicina graficamente al segno dell' infinito); possiamo anticipare ciò che approfondirò in seguito con un divertente gioco di parole: consideriamo la parola velo: essa è formata da vel + o. Ma vel in Latino è la lettera o, che significa anche “ossia, o piuttosto” , con valore di avverbio , congiunzione, rafforzativo ; “velo” è quindi composto da due o contigue , come il segno omega ω e come il simbolo dell' infinito . Letteralmente il velo separa realtà formali distinte ma esso appartiene al regno senza forma incomprensibile al pensiero classico della Grecia di Platone ed Aristotele: “ecco che, allora, abbiamo a che fare propriamente con dell' «in-forme», davanti a cui i Greci smettono di pensare, vale a dire con ciò che non è più determinato da una Forma (essenza)” ( Francois Jullien, op. cit.) Lo spazio della foresta è quindi lo spazio materno ed infinito di un embrione in gestazione. La madre del Budda (Maya , lo stesso nome del velo che costituisce l' illusorietà della realtà fenomenologica : fenomenologia = trasformazione continua delle forme) partorirà l' Illuminato nella foresta: ( cit da Asvaghosa, II sec a C c.ca, Buddhacarita_Le gesta del Buddha , a cura di Alessandro Passi, Fabbri Ed.)
“e Maya rivolse la propra mente, libera da stanchezza, dolore e illusione, alla pura, immacolata foresta”
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“ Il dio d' Amore fu il solo a non gioire”
Identificato dai Buddisti con Mara, dio della morte, il tentatore cercherà di indebolire la fermezza e la perseveranza del Buddha, di farlo ritornare a gustare i piaceri della vita, poiché
“tutti i futuri Buddha dalla natura incomparabile si sono recati nella foresta dopo aver gustato il piacere degli oggetti dei sensi
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“quindi il figlio del re venne tratto a forza proprio in quella foresta con le sue schiere di belle donne
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“Una, con la bocca dalle labbra color rame, profumate di liquore, gli sussurrò in un orecchio: Ascolta un intimo segreto
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“Un' altra, col corpo spalmato di fresco unguento, diceva quasi imperiosa: disegna una linea qui, e bramava ricevere il tocco della sua mano
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“Lasciando ripetutamente scivolar giù la veste azzurra con la scusa dell' ebbrezza, un' altra, col cinto appena in vista, mandava bagliori come la notte al lampeggiar dei fulmini
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“Altre,afferrato un ramo di mango fiorito, vi si appendevano mettendo in mostra i seni simili a coppe d' oro
...
“Così quelle fanciulle, le menti rese sfrenate dall' amore, si avvicinavano al principe con stratagemmi di ogni genere e tipo.
“Ma egli, per quanto venisse fatto oggetto di tali allettamenti, avvolse i suoi sensi nella fermezza; e in preda all' angoscia al pensiero che la morte è inevitabile , non si esaltò e non arrossì”
“Bello come l' astro notturno, egli vi dimorò per alcune notti investigando l' ascesi; e quando ebbe inteso tutto e compreso l' ascesi, partì dal luogo dell' eremo”
Per Budda ma anche per Krishna la vera ascesi non deve essere solo sacrificio, digiuno, astinenza, mortificazione della carne e della volontà , bensì una via che ci rivela l' impermanenza del mondo ed il vuoto che si cela dietro alle cose:
Il Signore Beato ( Krishna) disse
...
( cit. dal Capitolo XVIII della Bhagavad Gita , trad Giulio Cogni, ed. Mediterranee)
Penetrare il corpo, penetrare la foresta , svelare, togliere ad uno ad uno gli infiniti veli ( i settantamila veli del corpo) che formano l' apparenza delle cose, de-stratificare il reale : ciascun velo risplende e riflette la luce che l' essenza dell' Essere emana ( la luce perpetua, sadaprakasa, dei mistici hindu), come recita la sura XXIV, 35 del Corano:
“Dio è la Luce dei cieli e della Terra, e rassomiglia la sua Luce ad una nicchia , in cui è una lampada, e la lampada è in un cristallo, e il cristallo è come una stella lucente, e arde la lampada dell' olio di un albero benedetto, un olivo né orientale né occidentale, il cui olio per poco non brilla anche se non lo tocchi fuoco. E' Luce su Luce; e Iddio guida alla sua Luce chi Egli vuole”
Citiamo qui l' interpretazione dei mistici musulmani (Sufi) di questo versetto, in particolare la spiegazione che ne da il principe moghul Dara Sikoh nel cap. IX del “Majma' Al_Bahrayn” ( “La congiunzione dei due oceani”, trattatello comparativo tra le religioni musulmana ed indiana del 1665 che gli costò il trono e la vita a causa della condanna di blasfemia, nella traduzione a cura di Svevo D' Onofrio e Fabrizio Speziale, Adelphi Ed.) :
“La nicchia rappresenta il mondo fisico, la lampada indica la luce dell' Essenza, mentre il cristallo simboleggia lo Spirito, che è come un astro lucente e appare esso stesso simile a un lume, in virtù della luce emessa dalla lampada. Le parole “arde la lampada” si riferiscono alla luce dell' Essere, mentre l' albero benedetto simboleggia l' Essenza di Dio l' Altissimo...
Pertanto il senso che si ricava da questi versetti è che Dio l' Altissimo, grazie alla luce della sua Essenza, si manifesta attraverso veli sottili e luminosi dove non vi è tenebra o barriera. La luce dell' Essenza si manifesta nel velo dello Spirito degli spiriti, lo Spirito degli spiriti nel velo degli spiriti, e gli spiriti nel velo delle forme corporee. Allo stesso modo la lampada, in virtù della luce dell' olivo, si manifesta nel velo del cristallo, e questo nel velo della nicchia. Questi veli attingono luce dall' Essenza, aggiungendo così luce su luce.”
Il velo è la soglia, la metafora dell' effimero che si interpone agli strati adiacenti (insiemi delle “forme”) del reale nelle loro infinite determinazioni possibili; la sovrapposizione di queste determinazioni dell' Essere costituisce una continuità nella totalità dell' esistente. Il velo separa , il velo preserva, il velo salva le forme : in quanto discontinuità ne costituisce il fondamento, in quanto continuità le tiene unite. Il velo è allo stesso tempo differenza ed indifferenza. Il pieno sorge dal vuoto, la materia sorge dal nulla, la forma origina dal caso ; vuoto, nulla e caso costituiscono la femminilità del velo in quanto energia della genesi del Cosmo. Scoprire un corpo qualsiasi , superare la soglia del pudore , condannerebbe senza rimedio la psiche nel ciclo della sessualità freudiana fissandola ai suoi insuperabili complessi e l' anima nel ciclo perpetuo delle reincarnazioni, il samsara (il flusso di esperienza che è costituito da azioni-mentali,verbali e corporee-provenienti dal passato; Giangiorgio Pasqualotto, Oltre la filosofia, Angelo Colla Editore). I veli di Lucato sono colorati e rappresentano gli “attributi” più superficiali del corpo femminile, il quale è stato privato del volto e trasformato in un oggetto qualsiasi, una “cosa” senza anima . Ma ora non si tratta di togliere o di aggiungere veli al corpo femminile quanto di riconoscere il valore del velo come fondamento dell' esistenza delle cose, il suo significato di attimo non ulteriormente divisibile , di superficie allo stesso tempo paradossalmente osmotica, fluida e speculare della realtà che in esso, come in uno specchio, si riflette . Poiché il velo diventa così la metafora di Prakriti , il luogo del divenire (la corrente delle forme), la superficie limpida e assolutamente immobile dello stagno in cui si riflettono l' immagine del Sole ( il Supremo Ordinatore) e della Luna ( la sfera del pensiero riflesso e della “memoria cosmica”) ed in cui si sovrappongono le immagini di tutte le cose dell' Universo senza confondersi reciprocamente: “Quanto all' acqua, che riflette la luce solare, essa è di solito il simbolo del principio plastico, Prakriti...come l' immagine del sole riflessa nell' acqua trema e vacilla , secondo le ondulazioni dell' acqua, senza tuttavia influire sulle altre immagini riflesse in essa...” (René Guénon, op. cit. commento al passo 2 Adhyaya, 3 pada, sutra 46-53 del Brahma-Sutra; vedi anche la nota 2 del cap. 20: “L' acqua è ritenuta da molte religioni l' ambiente originario degli esseri, e la ragione di ciò è nel suo simbolismo in base al quale essa rappresenta Mûla-Prakriti; in un senso superiore, e per trasposizione, essa rappresenta la Possibilità Universale stessa”... e la nota 2 a pag 75: “ Prakriti rappresenta soltanto,in rapporto alla manifestazione , la Sua (di Brahma) Shakti, vale a dire la sua “Volontà produttrice”, che è propriamente l' onnipotenza...attività non-agente quanto al principio che diventa passività quanto alla manifestazione.”). Il pensiero Taoista si spinge ancora più in profondità secondo la logica del velo: “Se l' acqua è così limpida quando è cheta, quanto più lo è lo spirito quando è calmo! La calma del cuore del santo è lo specchio del Cielo, della Terra e delle diecimila creature” ( Chuang Tzu, par. La Placida Calma nella trad. di Fausto Tomassini, Oscar Mondadori). Finchè esiste un solo saggio il mondo non scomparirà, sembra dirci Chuang Tzu, poiché il mondo nasce insieme al suo placido cuore ; questa idea nasce dalla profonda convinzione che esista una corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo: “ il parallelismo tra mondi interno ed esterno viene minuziosamente descritto nel dettaglio. Certe pratiche di meditazione taoiste insegnano all' adepto a guardare dentro di sé e osservare il “paese corpo”. Questo paese è un microcosmo sacro, un fedele duplicato dell' universo: ha la stessa struttura e i medesimi tratti del cosmo, ed è pieno di dei, montagne, costellazioni e corpi celesti...la vera forma del macrocosmo è illustrata anche nel microcosmo dei disegni sacri, come i talismani o i diagrammi. Questi mostrano la struttura interna di potenti sorgenti di energia cosmica. Se ne conoscono l' autentica forma, gli iniziati hanno il controllo su queste fonti di potenza” ( Jennifer Oldstone-Moore, Capire il Taoismo, Feltrinelli Ed.). Il concetto Zen di santità non corrisponde esattamente al concetto indicato dalla stessa parola in occidente che invece è collegata ad un giudizio etico ( Sanctus deriva dal verbo latino sancire che significa stabilire, ordinare, sanzionare); molti comportamenti sono certamente sovrapponibili, ma la virtù del Saggio Zen è l' “indifferenza” , cioè la capacità di non fare differenze e quindi di non fare preferenze trattando tutti ( i giusti e gli ingiusti, i buoni e i cattivi) allo stesso modo, a costo di apparire “ingiusto” : solo in questo modo il mondo può continuare ad esistere come l' abominio della Shoa ha confermato, e solo eliminando la “differenza” che separa gli stati dell' Essere il Santo Hindu, lo Yogi, realizza la Liberazione suprema o Unione, la “trasformazione in sé stesso ( il Santo è nâmarûpa, senza nome e senza forma) : Signore dei molteplici stati semplicemente per effetto della sua volontà, lo Yogi non ne occupa che uno solo, lasciando gli altri vuoti del soffio animatore - prâna - come altrettanti strumenti inutilizzati; egli può animare più di una forma,come una sola lampada può alimentare più di un lucignolo” ( da René Guénon, op. cit; Commento di Bhavadêva – Mishra ai Brahma Sûtra)
Il Cielo e la Terra sono inumani: trattano i diecimila esseri come cani di paglia.
I santi sono inumani; trattano il popolo come cani di paglia
(Tao Te Ching)
Questa Indifferenza che pone il saggio Al di là del bene e del male non è immoralità ma a-moralità; essa corrisponde alla virtù dell' etica buddista denominata Upekkhā , equanimità ( le 4 virtù del santo buddista sono le 4 Dimore Divine: Karunā -compassione universale, Upekkhā -equanimità, Mettā -benevolenza non discriminante, Muditā -gioia altruistica) ed “equivale a 'imparzialità', 'non discriminazione', sia nei confronti degli esseri , sia nei confronti degli stati d' animo, dei comportamenti , dei sentimenti, delle opinioni, delle idee... essa consente di cogliere le distinzioni senza, però, condurre a un comportamento discriminante”(cit. Da Giangiorgio Pasqualotto, saggio Buddha e Schopenhauer: Karunā e Mitleid). La “logica del velo” non è la logica dell' azione ma quella della trasformazione in cui la “cosa” , il soggetto del moto Aristotelico che oscilla tra i predicati contrapposti ( il caldo e il freddo, il bello e il brutto, l' alto e il basso e così via) scompare ; ci stiamo avvicinando al pensiero orientale e soprattutto alla segreta Via (il Tao) in cui è la “totalità” del reale che muta silenziosamente ed in cui ogni momento della trasformazione è contemporaneamente inizio-e -fine e mai più inizio-o -fine del processo in divenire. La logica del velo ha una precisa referenza storica nel Sutra del loto del bodhisattva Avalokiteshvara : “indubbio che la sua esegesi dei testi buddhisti sia la più antica in Giappone. Ne traspare l' inclinazione a una logica dell' assurdo che sarà definita sokuhi : “è così, perchè non è così”, ( A = non A) assimilata dai maggiori filosofi giapponesi del Novecento... Si arriva a dire che l' esistenza (u) e il nulla (mu) sono indefiniti. E' lo spirito del “vago”, diffuso nella filosofia giapponese. Il pensiero cade in contraddizione, dovendo determinare la natura delle cose... Non si può ricorrere né all' esistenza né al nulla per esprimere il carattere del vuoto.” (Leonardo Vittorio Arena, Lo spirito del Giappone, BUR Rizzoli). Alla logica sokuhi inerisce la categoria estetica del mono no aware, quel “sospiro della natura” sottilmente nobile e decadente che accompagnerà lo sviluppo dell' arte e della letteratura nipponica a partire dalle prime e memorabili opere del Man' yoshu ( “Collezione delle diecimila foglie”, raccolta poetica di 4500 poesie del tardo periodo Nara, VII sec. d.C. c.ca) e del Genji monogatari ( “ Storia di Genji, il principe splendente” , il primo romanzo della storia della letteratura mondiale, scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu nel periodo Heian, 1000 d. C. c.ca) : “Di per sé , aware è un grido o un sospiro, evocato da una limpida giornata di primavera o da uno smorzato crepuscolo autunnale, la stagione giapponese più lugubre. Esprime una sorta di “Ah”, con cui si scopre la natura transeunte delle cose...La vita nella penombra lascia trasparire il carattere tetro delle cose. Come se queste fossero avvolte da un alone di transitorietà indissolubile ...l' animo del poeta è intriso di spirito buddhista, e sembra notare la bellezza e la tristezza del mondo : due elementi imprescindibili, per questo irresistibili” (Leonardo Vittorio Arena, op. cit.).
“Se fosse possibile vivere in eterno, senza che la rugiada della piana di Adashi svanisse e i fumi sopra il monte Toribe si dileguassero, potrebbe mai esistere la melanconia delle cose? Noi apprezziamo l' esistenza proprio perchè è precaria.”
(Kenko, Tsurezure-gusa, Ore d' ozio, a cura di Marcello Muccioli, edizioni SE)
“Mono no aware: il turbamento (aware) delle (no) cose (mono)” è il sentimento lirico che sorge nell' animo sensibile dalla gioia dello stare insieme alle cose ( e alle persone) che si amano e , contemporaneamente, dallo sconforto, dalla sofferenza che sorge dalla consapevolezza della loro esistenza effimera e transeunte... “Aware è la tragica bellezza del Giappone...sentiamo così il soffio opprimente della transitorietà e quindi la malinconia che è propria di ogni sguardo rivolto al passato”. ( dalla postfazione di Marcello Muccioli , op. cit.) Il sospiro della natura preferisce gli ambienti ombrosi e sfumati in cui la realtà sembra sconfinare nel sogno, la metafora prende il posto del reale e le cose si confondono e mescolano i propri confini con tutto ciò che le circonda attraverso l' utilizzo di un linguaggio strutturalmente ambiguo: “ è la mente giapponese che propende per il vago, e diffida della definizione, a guidare il pennello di Murasaki ... Morris sottolinea questa ritrosia a esprimersi in un linguaggio preciso, che dà filo da torcere persino ai commentatori giapponesi ... sarà il lettore ad incaricarsi dell' interpretazione” ; lo stato psicologico corrispondente all' estetica Mono no aware è quello della Melancholia, il dolce sentimento della tristezza che in occidente, persistendo nel tempo , cronicizza nel male oscuro: “Si ha lo stato malinconico quando paura e depressione durano a lungo”( Hyppocrates, Aphorismi, Jones London ed.). Questa patologia è l' ansia della dissoluzione dell' Io, la vertigine, la sensazione della mancanza di un fondo sicuro su cui appoggiare i piedi, della frammentazione del soggetto : la coscienza individuale del malinconico, il suo inossidabile senso dell' io, percepiscono il divenire delle cose come un destino ostile inevitabile ed inarrestabile e quindi pericoloso per l' integrità psichica e fisica: da ciò nasce la tendenza all' isolamento, la voluttà e il compiacimento all' autocommiserazione e la nostalgia per tutto ciò che , in quanto passato, oramai non può più essere modificato : “Sovente questa reazione si esprime perfino nella ricerca e nella costruzione dell' isolamento, esibendolo, tuttavia , non come proprio prodotto, ma come ferita inferta dall' altro da sè. In tal modo il malinconico rende l' altro da sé colpevole di insensibilità: così finisce col giudicare il Prossimo 'indifferente', Dio 'ingrato', la Natura ' matrigna'... Giangiorgio Pasqualotto analizza con particolare acume alcuni caratteri tipici della malinconia, ad esempio la paura temporale: “il malinconico appare letteralmente divorato dal tempo, in particolare dal passato, che diventa oggetto di una fissazione nostalgica, e dal passare – o, meglio, dal precipitare – del presente nel passato... questa caducità costituisce la legge necessaria, ineluttabile, della natura e della vita: chi non vuole o non può accettarla deve costruirsi l' illusione di una dimensione sottratta al tempo, di una eternità statica posta ai confini della vita e della storia; ma costui deve anche disporsi a sopportare le lacerazioni che questo tempo immaginato produce nel suo rapporto con i tempi reali”. Il passato diventa quindi il rifugio dall' impermanenza, dalla consunzione delle cose : “la paura del tempo che colpisce il malinconico non è tanto quella per il futuro, per la morte lontana che attende ogni essere vivente, ma per il presente che scorre, per il tempo che corrode, per la morte sempre vicina che consuma ogni evento, incrina ogni perfezione, rovina ogni bellezza...il passato appare infatti l' aurea aetas della sua esistenza, il magico sigillo che trasfigura l' impermanenza in permanenza, la caducità in stabilità; esso riesce a racchiudere cose, persone, eventi in forme di cristallo che proteggono dalla consunzione provocata dal passare. Quando giunge a non credere più in un paradiso trascendente in cui ogni figura della transitorietà sia sospesa, il malinconico si crea un paradiso personale tutto occupato dal suo passato. Tuttavia questo è anche il suo inferno, la gabbia in cui resta bloccato, incapace di agire, schiacciato dall' immagine di una morte già avvenuta che avvolge ogni realtà: oggetti, luoghi, persone, idee e opere.” In queste condizioni patologiche la ferita assume una molteplice valenza sia masochistica sia sadica : nella misura in cui tale sfregio intende colpevolizzare (sadismo), essa rappresenta nello stesso tempo il sigillo dell' amor proprio(masochismo) e la possibilità di fuga o di salvezza. La ferita è cioè contemporaneamente sfregio inferto all' “altro”, autolacerazione ed invocazione di aiuto ( aware) : “In definitiva l' ignoranza dell' anattā (vuoto) come fondamento della struttura relazionale che condiziona tutta la realtà conduce il malinconico a rientrare in una forma patologica che Freud avrebbe definito 'masochismo morale'.” ( G. Pasqualotto, op. cit.) Il pensiero greco non riesce a “pensare la trasformazione” poiché una cosa per cambiare il proprio stato (nella Fisica Aristotelica ogni cambiamento è concepito come uno spostamento/movimento di un corpo dal punto A al punto B ) ed in particolare per passare da uno stato al suo opposto dovrebbe cambiare la propria forma/essenza che per definizione metafisica è immutabile, attraversando il regno dell' informe: dovrebbe cioè contraddire quel principio stesso di non-contraddizione che è il fondamento della lingua e del pensiero classico greco. Ciò vale non solo per i diversi stati sovrapposti dell' Essere (dal punto di vista ontologico, quindi : lo spirituale ed il corporeo) ma soprattutto per l' Essere stesso che soggiace in momenti successivi al divenire dello scorrere del Tempo, quel Chronos che muta in Kronos , il divoratore ipostatizzato dell' Essere . Assiomatizzando l' Essere come principio assoluto ed esperendo il divenire ne consegue necessariamente l' esistenza del Tempo come soggetto ineffabile della mutazione, lato oscuro e alter-ego dell' Essere : il pensiero greco subisce lo scacco logico nel tentativo di cogliere l' attimo vivo e divisibile all' infinito del presente ( praes – ens: ciò che ci sta di fronte) che segna il passaggio tra il prima (il passato) e il poi (il futuro) e in cui ogni cosa dissolve la vecchia forma/essenza e la ricostituisce nuovamente nel processo ondulatorio e metamorfico senza fine di immersione ( nel non-Essere ) ed emersione ( nell' Essere). Il velo è la superficie dinamica, osmotica, che preserva la nostra esistenza, è il vuoto che ci sostiene; se tuttavia osassimo superare questa soglia ci ritroveremmo forse nello stesso labirinto dal quale siamo usciti ? Ecco perchè dal punto di vista esistenzialistico (nell' intervallo irreversibile che va dalla nascita alla morte: i due opposti irriducibili della metafisica occidentale; “Platone”, dice Francois Jullien, “pensa a partire dai contrari, ma in quanto è una cosa a passare da un contrario al suo contrario, o da una determinazione alla sua opposta ... ma esso (uno dei contrari) cede subito il posto quando l' altro si avvicina, perchè i contrari si escludono” ) vi è sempre una foresta oltre alla foresta: è questo il carattere intransitivo dell' Ente e dell' oggetto estetico Duchampiano. Chi sa tuttavia osservare con attenzione gli strati velati di Lucato può scoprire in essi delle microvariazioni : il labirinto è solo apparentemente sempre uguale poiché le trasformazioni sono lievi e progressive . Per cercare di comprendere meglio alcune delle caratteristiche dell' “energia” cosmica del velo , ritorniamo ancora alle parole di Dara Sikoh, cap IV. “Sugli attributi di Dio”:
“ Gli indiani ammettono tre attributi (di Dio) : sattva, rajas e tamas , detti (insieme) triguna (tre qualità costitutive). Rajas è la creazione, sattva la permanenza, e tamas la distruzione. Ciascuno i questi tre attributi è compreso nell' altro e i custodi di questi tre attributi sono chiamati dagli indiani trimurti (triplice forma) , ovvero Vishnu , Brahma e Mahesa (Shiva)... Vishnu è il custode della creazione, Brahma è il custode della permanenza, Mahesa è il custode della distruzione... Pertanto Brahma, Vishnu e Mahesa sono le personificazioni di questi tre attributi e le loro qualità si manifestano in tutti gli esseri creati. Ogni creatura nasce, vive per un tempo predestinato e poi perisce. La Shakti (energia, volontà produttrice) è il potere di questi tre attributi ed è detta anche tridevi (triplice dea) . Essa originò dalla trimurti e comprende Sarasvati, Parvati e Laksmi. Sarasvati è connessa a sattva e a Brahma, Parvati a tamas e Mahesa, Laksmi a rajas e Vishnu.”
Brahma , Vishnu e Mahesa (Shiva) in quanto forme incondizionate appartengono al Purusha , l ' Uomo Cosmico Hindù , principio non manifestato e non-agente dell' Universo il quale contiene in sé il seme di ogni possibilità allo stato embrionale ( “la condizione di possibilità” o “il trascendentale” nel linguaggio della filosofia occidentale , in un certo senso correlata all' en-telechia Aristotelica: ogni movimento si comprende dal fine di ciò che si trova in potenza); Sarasvati, Parvati e Laksmi , le tre Shakti della Trimurti, appartengono al corrispondente regno riflesso di Prakriti , l' inizio della manifestazione e determinazione degli esseri: esse sono potenze in atto , energie cosmiche , momento ( in virtù della quantità di moto) realizzativo di queste possibilità . Ma ciò che la mente distingue - trimurti e tridevi - esiste solo in intima e indissolubile unità .
Staticità della forma: la teoria Platonica della forma e gran parte del pensiero occidentale che ne deriva istituisce una corrispondenza logica ed una proporzionalità geometrica tra il concetto estetico di forma ed il concetto ontologico di essenza: le forme sono così concepite come essenze separate dall' empirico e quindi esistenti in modo indipendente dalla materia. Questa teoria lungi dal semplificare un problema in realtà crea una serie di nuovi paradossi : in questo modo infatti Platone desume ulteriori corrispondenze o applicazioni che ineriscono alla medesima “ forma delle forme” , cioè all' idea platonica che rappresenta l' archetipo formale da cui tutte le forme della medesima classe derivano e che si suddividono ulteriormente in sottoclassi, e così via all' infinito. Dall' archetipo di vaso, ad esempio, deriveranno tutti le forme empiriche dei diversi tipi di vaso che sono esistiti nel passato, che esistono nel presente e che esisteranno in futuro. Non è questo il momento per discutere le aporie della teoria Platonica; ci interessa qui porre in evidenza la staticità della forma implicita al sistema Platonico: infatti se la forma di una cosa corrisponde alla sua essenza più intima allora essa dovrebbe anche coincidere con il principale attributo di permanenza di tale ente poichè erediterebbe ( nei limiti della manifestazione) i caratteri di identità, eternità , immutabilità ed unitarietà dell' archetipo da cui deriva. Ne consegue che i confini di una forma statica sono nettamente definiti, delimitati.
Dinamicità della forma: il passo di Dara Sikoh ci presenta il Brahman come il generatore della “forma”, come “forma delle forme” ( se di forma si può ancora parlare quando si nomina il Principio Originario che supera ogni stato manifestato e non-manifestato dell' Essere). Questa “forma originaria” genera le tre forme incondizionate non-agenti della trimurti ; ogni determinazione formale successiva è opera della tridevi ed esiste nel presente solo in funzione dei processi di permanenza e di impermanenza delle cose, nel dinamismo della loro creazione e distruzione ( o , più precisamente, dei processi di produzione e di trasformazione; Karya , la parola indiana che indica creazione, non si sovrappone con esattezza al corrispondente termine della teologia giudaico-cristiana; Guénon deriva Karya “dalla radice verbale Kri (fare) e dal suffisso ya , che indica un compimento futuro: ciò che deve essere fatto, o meglio ciò che va fatto, poiché ya è una modificazione della radice “i”, andare”; questa concezione etica originaria della creazione potrebbe anche in un certo modo spiegare la presenza del Grillo parlante nella fiaba di Pinocchio: il Grillo - nome onomatopeico che riassume il verso “Cri – Cri” dell' insetto- è contemporaneamente il significante (sonoro ) e il significato simbolico della coscienza in fieri del burattino ed anche ciò che lo mette in crisi ; sotto questo aspetto la fiaba rappresenta una allegoria della genesi , formazione , conseguimento ed attuazione della coscienza attraverso il processo dinamico della peregrinazione nel mondo: Pinocchio infatti è un viandante , “i”= andare . Anche Edipo è condannato a vagare: si potrebbe dire che il destino di Edipo sia l' impermanenza, come se tutto il sapere ontologicamente razionale e discriminatorio del re appoggiasse sopra il vuoto del divenire . Krishna e Cristo ( il logos giovanneo = tutto per lui fu fatto) contengono nel nome la radice, allo stato embrionale , di questa necessità . Brahma è il divino architetto, colui che produce i mondi, il volto di Giano che guarda verso il futuro; Shiva è il trasformatore dei mondi e quindi, per sineddoche, il distruttore (è proprio questa la funzione del “terzo occhio” di smeraldo di Shiva), il volto di Giano che guarda al passato; Vishnu , l' avatar “intermedio”, è il principio che unisce nell' istante del presente gli eventi di creazione e distruzione, il volto invisibile e centrale di Giano . In ogni cosa coesistono e si sovrappongono Brahma, Shiva e Vishnu , ma ciò che agisce nel mondo sono le proiezioni cosmiche cioè le loro rispettive consorti ( il concetto di simmetria del Cosmo si applica alla sessualità freudiana: ogni fenomeno percettivo possiede nel profondo della psiche la propria radice bisessuata ) ; tali emanazioni dinamiche hanno caratteristiche fenotipiche femminili e capacità di darsi e di ritrarsi, di manifestarsi e di nascondersi attraverso il movimento danzante e circolare dell' energia che riassorbe sé stessa nel nulla, nel vuoto ; il fondamento della potenza quindi , come riconobbe lo stesso Aristotele, è l' im-potenza : la Krisis sorge all' interno del pensiero classico e si evidenzia nei paradossi della logica. Nel momento della propria manifestazione, nella fenomenologia delle immagini del mondo, nell' estetica della femminilità del mondo che si svela e si rivela, la potenza sempre conserva in sé il senso della propria im-potenza ossia contiene il vuoto metaforico del velo che nell' opera di Lucato talvolta riemerge in nuclei di infinita, profonda oscurità. Occorre porre in evidenza come già nell' antichità i primi studiosi del pensiero di Aristotele avessero commesso un errore fondamentale che ne impedì in seguito la corretta interpretazione; essi confusero il piano ontologico e fisico del filosofo con il piano concettuale confidando forse nella stretta corrispondenza che effettivamente esiste nel sistema aristotelico tra il pensiero (le categorie logiche espresse linguisticamente) e la Physis (Natura : le categorie naturali, fisiche ) , come chiarì il Benveniste nel saggio del 1958: Categorie di pensiero e categorie di lingua ; ed Italiana Il Saggiatore, trad. Maria Vittoria Giuliani): “(Aristotele)...era quindi destinato a ritrovare, senza volerlo, le distinzioni che la lingua stessa rende evidenti fra le principali classi di forme, dato che è per le loro differenze che tali forme e tali classi hanno un significato linguistico. Aristotele credeva di definire gli attributi degli oggetti , mentre non enuncia che degli enti linguistici: è la lingua che , grazie alle proprie categorie, permette di riconoscerli e di specificarli... E' ciò che si può dire che delimita e organizza ciò che si può pensare. La lingua fornisce la configurazione fondamentale delle proprietà che la mente riconosce alle cose... La lingua evidentemente non ha orientato la definizione metafisica dell' “essere” - ogni pensatore greco ha la sua – ma ha permesso di fare dell' essere una nozione oggettivabile, che la riflessione filosofica poteva maneggiare, analizzare, situare come qualsiasi altro concetto... Quanto vogliamo far vedere qui è che la struttura linguistica del greco predisponeva la nozione di “essere” a una vocazione filosofica” . Ogni lingua, così come ogni altro sistema di trasmissione e codificazione dell' informazione , compresa l' arte ( che si serve soprattutto delle “immagini”) , possiede delle proprietà strutturali intrinseche che ne definiscono e orientano attraverso la prassi il campo di applicabilità e allo stesso tempo ne rappresentano il pregio ed il limite: dobbiamo quindi cercare di valutare il senso acquisito dalle principali figure utilizzate da Lucato nelle sue opere e che ci ricollegano alla classicità greca sia direttamente ( tramite l' acquisizione di stilemi, architetture, immagini) sia indirettamente ( tramite l' utilizzo delle textures Euclidee), oppure che , contrapponendosi ad esse , determinano la crisis di queste figure e dell' estetica classica ( presenza di tagli, asimmetrie spaziali, improbabile delocalizzazione di luci ed ombre). Nel corso della storia ritroveremo la corrispondenza Aristotelica tra il Pensiero e la Natura mirabilmente espressa nel VI Assioma della Parte I dell' Etica di Spinoza (“L' idea vera si deve accordare con il suo ideato”, proposizione che intende stabilire una vera e propria identità tra le idee e gli oggetti naturali , tra i modi principali di Dio (Res cogitans e Res extensa) e i caratteri dell' uomo che ne rappresentano il riflesso (“la relazione che intercorre tra corpo e mente è analoga a quella che corre tra Relazione e Pensiero...l' ordine e la connessione delle idee è identico all' ordine e alla connessione delle cose”, Giangiorgio Pasqualotto , Tao sive Natura in Oltre la filosofia, Angelo Colla Editore) e nei Principia Philosophiae di Cartesio (1644; I principi della filosofia, Boringhieri ed. 1967, trad. P Cristofolini : “Infatti non possiamo dividere nulla con il pensiero, senza con ciò conoscere che esso è divisibile; e dunque, se giudicassimo che quella stessa cosa è indivisibile , il nostro giudizio dissentirebbe dalla conoscenza...Conosciamo inoltre che questo mondo, ossia la totalità della sostanza corporea, non ha alcun limite alla sua estensione. Infatti dovunque ci figuriamo che quei limiti siano, sempre non solo immaginiamo, ma percepiamo che sono anche veracemente immaginabili e cioè reali, spazi infinitamente estesi al di là di essi “– par 3. Estensione e divisibilità) ma le conclusioni ontologiche dei due filosofi saranno profondamente diverse . Il Deus di Spinoza, come dimostra Giangiorgio Pasqualotto nel saggio “Tao sive Natura” , è un principio dinamico simile ad un Campo di forze (“In Spinoza la potenza della Natura è la Natura in quanto Natura naturans, natura che si esplica in infiniti modi (attributi)”,) mentre il Dio di Cartesio è immutabile, statico come il nucleo esistente dell' Io dedotto dall' applicazione del dubbio metodico e dall' attività del pensiero (“Cogito ergo sum”).Ciò che la cultura occidentale cova in sé stessa è la Krisis del pensiero-linguaggio e del concetto di demarcazione . Secondo Francois Jullien nel saggio “le Trasformazioni silenziose” (Raffaello Cortina Ed, 2009, cap 4) tre sono le sovracategorie linguistiche greche che hanno condotto il pensiero occidentale verso la logica “scientifica e razionale” ; “i Greci” , egli scrive “ si sono presi una considerevole opzione sul pensiero e che ho riassunto nei tre partiti presi congiunti:
1 determinazione 2 sostantivazione ( sostanzializzazione) 3 predicazione
1 Determinare significa classificare, distinguere, chiarire attraverso divisione e contrapposizione delle parti ovverosia creare degli insiemi di inclusione ed esclusione delle cose; fisiologicamente lo sguardo che classifica tende a fissare la propria attenzione sull' insieme inclusivo: il pericolo di questo atteggiamento è quello dell' estrema focalizzazione, poiché l' indole Greca sopravvaluta l' idea del possesso. Ciò che si trova al di fuori del campo di interesse del soggetto diventa insignificante e trascurabile nella misura in cui esaurisce la propria utilità. La Determinazione si fonda sulla misura, non a caso misurare , mano, mente , man ( uomo in Inglese) etc, sono parole legate alla medesima radice sanscrita . Nell' induismo la facoltà mentale è manas , il senso interno o pensiero , la principale delle 11 facoltà (indrya) dell' uomo, “unita direttamente alla coscienza. Con questo manas va messo in relazione il pensiero individuale di ordine formale, e vi includiamo tanto la ragione quanto la memoria e l' immaginazione” (René Guénon, op, cit.). Matra significa assegnare, determinare, misurare. 2 Sostantivare significa assegnare dei nomi alle cose e di conseguenza caratterizzarle come sostanze presenti ; tuttavia il nome nulla afferma riguardo l' essenza e l' esistenza della cosa , è solo una maschera, una freccia che indica qualchecosa , ma la cosa di cui si dice e su cui si dice rimane nascosta (sub-stantia) sotto questo nome : infatti lo stesso oggetto prende nomi diversi in lingue differenti.Attraverso la sostantivazione identifichiamo e distinguiamo soggetto ed oggetto, li misuriamo. 3 Predicare significa assegnare alle cose delle qualità, “distribuire fianco a fianco, come tanti stati possibili, altrettante proprietà o qualità”. Si scorge in queste sovracategorie l' indole Greca all' acquisizione del diritto alla proprietà, la volontà di definire il possesso di un territorio conquistato e delle cose ivi contenute tracciandovi intorno una linea di demarcazione, un confine definito con precisione e che per ragioni politiche e sociali non deve mutare. Ma esiste realmente, in Natura, una simile linea di demarcazione oppure è un epifenomeno del processo di astrazione ovverosia un applicativo del pensiero-linguaggio? , si chiede Jullien: “Dove si trova la separazione ....dove finisce il bagno di luce, dove comincia a ritirarsi? ...Ancora una volta, la trasformazione è d' ambiente, troppo globale per lasciarsi cogliere in termini predicativi e con un elenco; e la transizione è troppo continua per lasciarsi segnare su una mappa...Questa pregnanza o questo ambiente, questa “atmosfera”, non si possono delimitare in termini di proprietà e sono dunque refrattari alla nostra presa ontologica”( F. Jullien, op. cit.)
“Come è incerto il grande Vuoto! Il sapiente vi penetra, ma non sa dove sia il confine. Ciò che modella le creature non ha i limiti delle creature, eppure tutte le cose hanno un limite. Ecco perchè è detto il modellatore dei limiti. Esso è il limite dell' illimitatezza e l' illimitatezza del limite”
(Chuang Tzu, a cura di Claudio Lamparelli, Oscar Mondadori Ed.)
Ebbene, anche in Aristotele la Cosa ( gli enti della Natura, gli oggetti concreti inanimati ed animati che abitano il Mondo) si rivela alla conoscenza del pensiero in maniera immediata, intuitiva, ma preserva la propria vera essenza nell' oscurità; la crisis è intrinseca alla struttura stessa del pensiero ed il filosofo ne è consapevole: la Cosa è proteousia, sostanza prima o presupposto assoluto, ineffabile nella sua essenza, “atrocemente o beatamente sprofondata nella sua oscurità”; la Cosa in quanto “Ipostasi del nome, un ineffabile che deve restare non detto e solo così custodito, come nome, nel linguaggio degli uomini” (Giorgio Agamben, La Potenza del pensiero) , è un ente sotterraneo di cui non si può dire l' essere, il contenuto, l' essenza. Essa si rivela al pensiero solo “in apparenza” e quindi immagine e nome la configurano come un sottilissimo involucro, una forma al limite della percezione, una maschera. La natura della “Cosa in sè”, incomprensibile ed innominabile nella sua essenza, nel De anima sarà indicata da Aristotele con il termine di “diafano (diaphanes)” ( ciò che è trasparente, inafferrabile all' attività del pensiero): nell' opera di Lucato il diafano corrisponde alla trasparenza del velo ed è ciò che precede potenza ed atto poichè possiede la facoltà naturale di contenere i caratteri opposti dell' Essere e che in esso sussistono non come quantità antagoniste ed irriducibili ( e quindi destinate ad annichilirsi vicendevolmente) , ma come potenze complementari ed interattive in nuce.”Aristotele non definisce questa natura “(del diafano), dice Agamben, “ma si limita a postularne l' esistenza: esti de ti diaphanes”. Il filosofo della Metafisica non riesce a pensare con esattezza attraverso il proprio linguaggio le caratteristiche di un limite( il fra, la crepa, la fessura) cioè del termine intermedio (la proteousia) che presenta contemporaneamente le caratteristiche dell' Essere e del Non-Essere, dell' Unità e della Molteplicità, e così non può passare dalla logica dell' azione alla logica della trasformazione, dall' estetica della linea netta all' estetica dello sfumato : “L' intermedio è un termine medio, quindi termine anch' esso, terminus comunque. Interrompe a metà strada il cambiamento e lo decompone costituendosi a suo punto sia d' arrivo sia di partenza, ma non consente meglio di cogliere come il passaggio si operi attraverso di esso. Quindi il grigio non è grigio agli occhi di Aristotele ...ma è alternativamente – ma imperturbabilmente- “bianco in rapporto al nero e nero in rapporto al bianco”. Come in Platone, ciò che trattiene Aristotele dal pensare il “tra” in quanto tra è che in esso viene meno la determinazione che fa essere poiché c' è “essere” - questo il postulato greco- solo se non è sfumato ma distinto e determinato. O piuttosto, dato che non possiamo prendere in considerazione di pensare in altro modo che in termini di Essere, il che è più di un postulato, è la piega greca del pensiero: in essa il trans della trasformazione risulta logicamente annegato, o piuttosto ne viene negato...la transizione apre letteralmente un buco nel pensiero europeo, riducendolo al silenzio” ( F. Jullien, op.cit.). Come sostiene Giangiorgio Pasqualotto in “Oltre la filosofia/percorsi di saggezza tra Oriente e Occidente” ( Angelo Colla Editore, 2008) bisogna ritornare al significato etimologico originario corretto del concetto di Natura , Physis , in Eraclito, per poter comprendere il senso vero della trasformazione. Heidegger nella sua Introduzione alla Metafisica commise l' errore di derivare il termine Physis dalla radice “pha- ( area semantica di phaino e phainomai) collegandola ai significati di mostrare e mostrarsi” , avvicinandosi così al concetto metafisico di manifestazione nel senso che ritroviamo in Guénon ( Pasqualotto critica Guènon nella nota 34 del capitolo Il Tao della physis; Guènon in quanto Metafisico tende “per natura” a sbilanciarsi dalla parte dell' Uno ). “Il termine Physis”, dice Pasqualotto, “deriva in reltà dalla radice phy- che rimanda ai significati concentrati attorno al verbo phyo che indica, transitivamente, l' azione di “nutrire, far crescere (qualcosa) ' e, intransitivamente, l' attività di “nutrirsi”, “crescere”. La Natura, il principio che sostiene le cose animate ( cioè dotate di soffio vitale: anima deriva dal sanscrito prâna o più generalmente ana: la radice an si ritrova con lo stesso significato nel greco άνεμος ,”soffio” o “vento”, e nel latino anima, Renè Guènon; il termine corrispondente usato nello stesso significato da Eraclito è psiché = “respiro che tiene in vita” e che deriva da psycho =soffio , respiro: nessuna connotazione spiritualista si trova nei frammenti di Eraclito, G. Pasqualotto; “prâna appartiene propriamente all' ordine della manifestazione sottile, cioè allo stato di sogno , e solo per estensione allo stato di veglia ... il soffio vitale, accompagnato similmente da tutte le altre funzioni e facoltà già riassorbite in esso e che vi sussistono soltanto come possibilità, poiché sono ormai ritornate allo stato di indifferenziazione da cui erano dovute uscire per manifestarsi effettivamente durante la vita , è a sua volta riassorbito nell' “anima vivente” (Jîvâtmâ), manifestazione particolare del Sé al centro dell' individualità umana , ...nell' ultimo istante della vita, quando questa anima vivente sta per ritirarsi dalla sua forma corporea , Renè Guènon: la sequenza di riassorbimento sarebbe quindi la seguente psiché → prâna/άνεμος →Jîvâtmâ ), in Eraclito non è un principio metafisico bensì una “condizione di possibilità... il trascendentale di ogni 'via' individuale... Physis non è dunque ente metafisico che si incarna ora in questa ora in quella creatura dell' universo, ma è 'energia diffusa' in quanto forza che fa crescere, presente in ogni essere vivente: ed è forza che fa crescere mediante una dinamica differenziale, attraverso connessione di contrari” . Eraclito individua nella relazione il principio operativo della Natura; la relazione nella physis è sostanziale, cioè le cose esistono in virtù ( Tê) di tale correlazione, “solo perchè sono in relazione di contrasto complementare , che è il modo di essere e di operare della physis”:
“E' il Tao che dà vita alle cose, poi la Virtù le nutre, la materia dà loro forma e la natura ne completa lo sviluppo”
(Tao Te Ching, 51 trad Paolo Ruffilli)
Eraclito distingue due modi fondamentali di nessi che rappresentano , in un certo senso , i poli espressivi della Natura : l' attrazione e il conflitto. L' attrazione è il nesso rivelato, è ciò che superficialmente possiamo esperire e percepire come forma statica (forma=staticità= ciò che è visibile) ; il conflitto (pόlemos) è il nesso nascosto, è ciò che la natura ama nascondere poiché genera tensione : il conflitto è la funzione dinamica della trasformazione indispensabile alla vita ( funzione= tensione=ciò che è nascosto) . “La Natura si configura come produzione costante di nessi attraverso la mediazione di contrari... costitutivi della Natura sono gli opposti che si alternano, si bilanciano, si rendono complementari”: entrambi i nessi sono necessari alla Natura ( da essi scaturiscono l' ordine e l' armonia delle cose) tuttavia , come Pasqualotto desume dall' analisi dei frammenti 28 e 14, Eraclito sottolinea la supremazia di ciò che sta sotto ( e che quindi sostiene) e si nasconde, cioè del conflitto :
28: physis kryptesthai philei la natura ama nascondersi
41: il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte è re
(Eraclito)
I tipi di connessioni ( principi naturali) che costituiscono il polo attrattivo e il polo conflittuale sono quindi complementari e speculari : le une sono superficiali e le altre profonde, tuttavia sempre indissolubilmente unite ed in rapporto dialettico reciproco; di essi forniamo la seguente tabella desunta dal saggio di Pasqualotto :
“Percorre d' altra parte l' universo una violenza fondamentale, che è un aspetto necessario della sua stessa unità, e che è vano voler ignorare: è la violenza fagica, e quella erotica, che ne è profondamente una variazione ...questa non può venir eliminata, pena l' arresto del flusso della vita. E' l' aspetto di Kali-Durga... che l' Induismo invece ha il coraggio di sentire , nel circuito dell' eros cosmico, come un aspetto tremendo del Divino”. (da I sensi della Bhagavad-Gîtâ, Giulio Cogni, Ed. Mediterranee). Kālī-Durga, letteralmente “colei che divora”, personificazione hindu della antica progenitrice ( la Grande Dea Madre) spodestata , reietta e confinata nel regno delle tenebre ; ancestrale Signora della vita e della morte, conserva ancora in sé il carattere originario della fecondità : “essa viene talvolta rappresentata completamente nera con una collana di teste mozzate che le pende dal collo fino alle ginocchia,... in una mano destra impugna la spada, simbolo della Distruzione fisica e della Risolutezza spirituale, che recide l' errore dell' ignoranza e lacera il velo della coscienza spirituale. Con l' altra mano destra regge le forbici che tagliano il filo della vita. Nelle due mani sinistre mostra invece la coppa con il cibo che elargirà in abbondanza e il loto, simbolo della Generazione eterna” ( Alfredo Cattabiani, Florario, Oscar Mondadori). Dea-loto ermafrodita sin dall' origine, sorta dal fiore che germina dall' ombelico di Vishnu e “si schiude sulla superficie delle acque ( l' oceano primordiale descritto nel Bhagavatapurana, su cui galleggia l' uovo cosmico, la culla di Vishnu); secondo la tradizione induista, simbolo della prima manifestazione dell' Essere Supremo (Brahman): porta o bocca del grembo dell' universo. Viene raffigurato come un fiore d' oro dai mille petali”. E' Shrī ( = fortuna e bellezza) o Lakshmī, la Shakti (potenza) sposa di Vishnu nata mitologicamente, come nacque Venere , dalla spuma delle acque ( non sono forse bolle bianche quelle che spuntano dietro all' ultimo velo colorato di Lucato?) e destinata , con il trascorrere dei secoli e con il trasformarsi dei pantheon delle civiltà, a sprofondare sempre più nell' oscurità e nel mistero: Parvati, Išthar, Medusa, Moira ... sin dalle origini Amore-e-Morte è in grado di sovvertire e corrompere tutto ciò che tocca ; oppure sarà destinata a salire per trasformarsi in trascendente , illuminante , saggezza di natura femminea : Sarasvati, Prajnāpāramitā ( “la saggezza trascendente e illuminante della tradizione Buddhista che dimora in permanenza sull' altra sponda: regina del regno spirituale raggiunto tramite l' Illuminazione , e che rappresenta sia l' Estinzione sia della coscienza individuale sia della molteplicità cosmica”) , Athena...
La VI tavola della Saga di Gilgameš è forse poeticamente la più bella : in essa l' orrido sublima, come accade per l' Inferno Dantesco; vi sono narrate l' infatuazione della dea Išthar, le sue profferte amorose, il rifiuto categorico dell' eroe solare Gilgameš .
“Allora Išthar, la principessa, volse gli occhi sulla bellezza di Gilgameš
Orsù , Gilgameš, sii il mio amante! Donami come regalo la tua virilità! Sii il mio sposo e io sarò la tua sposa.
Išthar è il potere oscuro della seduzione: antica potenza della psiche , capacità di mutare la soddifazione del desiderio in sofferenza , essa sovverte, trascina tutto nel fango; passione improvvisa, indifferenza etica, puro istinto, volge le cose al loro contrario nel momento stesso in cui le tocca; l' azione divina che sconvolge il ciclo naturale degli eventi è una rovina improvvisa e violenta come un cataclisma.
Gilgameš aprì la sua bocca e disse cosa mi succederebbe dopo averti posseduta? A quale dei tuoi amanti sei rimasta per sempre fedele? Quale dei tuoi superbi fidanzati è salito al cielo?
A lei obbedisce il Toro Celeste , simbolo della forza cieca. La lotta tra Gilgameš e il Toro Celeste prefigura scontri mitologici altrettanto famosi come quello tra Teseo e il Minotauro oppure quello tra Giasone e i Tori di Eeta (Apollonio Rodio, Le Argonautiche) . La storia viene celebrata attraverso il mito: il significato della vittoria degli eroi solari e la morte del Toro esorcizza la paura dei popoli conquistatori poiché la sconfitta delle civiltà non significa la loro scomparsa bensì la loro trasformazione : emerge costantemente la paura della vendetta come un' infida melodia di sottofondo. Poiché nel mito storia e psiche si fondono, l' apertura delle porte degli inferi è anche l' uscita dall' inconscio dei mostri repressi:
Padre mio, dammi per favore il Toro celeste; voglio uccidere Gilgameš nella sua casa.
Se tu non mi darai il Toro celeste, allora io divellerò le porte degli Inferi,
farò resuscitare i morti in modo che essi mangino i vivi; allora i morti saranno più numerosi dei vivi!”
( La Saga di Gilgameš, op. cit.)
In Eraclito l' erotismo diventa il gioco della Natura nella duplice modalità della syllapsis/syllambánein : infiniti nessi, connessioni e relazioni tra 1) gli aspetti, gli attributi contrari delle cose e 2) tra cosa e cosa e tra le singole cose e il tutto. La Natura è un processo dinamico reticolare (la rete di Maya) che è ordine a se stessa, logos/léghein : “i contrari eraclitei non derivano dalla physis come sue 'creature', ma costituiscono, nella loro reciproca azione dinamica, il modo di funzionamento della physis, ossia il suo logos ... logos denota il modo di essere e di operare della physis... e il significato a cui rimanda il termine logos è proprio rapporto, nesso...(G.Pasqualotto, op. cit. ; Heidegger ci sembra sia stato l' unico che ha ricondotto il significato di logos all' attività del raccogliere, nota 37)”. La dialettica tra i poli opposti e complementari si estrinseca come un processo armonico: l' armonia è concepita come un' onda che si propaga tra gli opposti vertici Harmoníe/Harmózein della corda in tensione di un' arco o di una lira:
27: Armonia invisibile della visibile è migliore
(Eraclito)
armonia invisibile=Harmózein aphanes,la dissonanza, il gioco nascosto del caso armonia visibile= Harmoníe , principio di simmetria
Il mondo esiste quindi come “suono”? E quale voce lo produce? Perchè i sacerdoti Shintoisti , prima di iniziare un rito, battono due o quattro volte leggermente le mani? Qual' è il significato profondo della Bath Kol (letteralmente: figlia di una voce) Ebraica? Anche le teorie della fisica contemporanea descrivono la Natura come se fosse una rete di energia in cui gli atomi sono onde più che materia, condensazioni dinamiche dell' energia , nodi (particelle e anti-particelle) in emersione e in continua reale trasformazione (con contatto) o virtuale ( senza contatto) attraverso processi in cui l' armonia invisibile (Harmózein aphanes , l' azione nascosta del caso, la dissonanza) e l' armonia visibile (Harmoníe, principio di simmetria) direzionano gli eventi (bootstrap) vietando a ciò che noi chiamiamo “materia” di dissoversi per sempre nel nulla , come se una mano riemergesse ciò che l' altra sprofonda. E' possibile costruire una tabella delle corrispondenze analogiche degli attributi che incontriamo in Eraclito, Metafisica Hindu , Taoismo e Simbolismo massonico:
Come si può osservare dalla tabella, esiste una stretta corrispondenza tra il concetto greco di armonia (Bellezza, Bontà) ed il ritorno ad uno stato fanciullo di innocenza , semplicità, spontaneità: è importante però ribadire che la vera armonia non scaturisce da Harmoníe , bensì dalla coppia Harmoníe/Harmózein , cioè costituisce il risultato del processo di correlazione e trasformazione di opposti complementari , nasce dalla permutazione di ciò che è nascosto in ciò che è visibile e viceversa. Armonia è ciò che tramonta-sorge. Armonia è Dionisiaco-Apollineo. Secondo Guènon nella tradizione Vedica gli attributi dello Yogi ( il “Santo” che ha raggiunto la Liberazione ) in ordine crescente di importanza sono 3 Bâlia , 2 Pânditya , 1Mauna ; per Eraclito il Conflitto (1) è superiore all' ordine (2) ; Giangiorgio Pasqualotto nel saggio Nietzsche e il Buddismo Zen attraversa come altrettante tappe successive di un cammino di perfezione dell' uomo il passaggio attraverso l' interconnesione, 3) l' ingenuità ,2) il grande sapere , 1) la solitudine:
Interconnessione è esperienza dell' attimo immenso in cui tutti i tempi si riflettono nell' assoluta tranquillità del momento presente, eterno ritorno: “Così nel pensiero zen, l' intuizione dello Jijimuge comporta anche l' intuizione che l' interconnessione universale di ogni cosa e di ogni momento costituisce la perfezione, l' assolutezza, la completezza di ogni cosa e di ogni momento... l' esperienza dell' attimo immenso sono rintracciabili soprattutto nelle parti finali dello Zarathustra , il senso del satori (“ il risveglio istantaneo” definibile come una reversione totale e immediata dell' essere e dell' Universo nell' essere, Bhikku Satori Bhante ) diventa chiaramente percepibile in questo famoso passo del T' an ching attribuito al sesto patriarca, Hui-neng: In questo momento non vi è nulla che cessi di essere. Così non v' è nascita-e-morte che debba concludersi. L' assoluta tranquillità è il momento presente. Sebbene sia in questo momento, questo momento non ha limiti, e quivi è eterno diletto”. Nel Buddismo il concetto di interconnessione scaturisce dalla tesi ( esperienza meditativa) che “ogni realtà – fisica, psichica e metafisica - è anattā, è 'senza sé', priva di consistenza autonoma... ciò comporta che anche ciascun aggregato esiste e funziona solo in quanto è in rapporto agli altri” (cit.G.Pasqualotto, saggio Meditare l' impermaneza. Antidoti d' oriente alla malinconia). Due importanti corollari dell' anattā sono:
Coproduzione condizionata : tutto ciò che esiste , esiste solo in relazione “a” tutte le altre cose del mondo; questo non significa semplicemente che le cose sono in collegamento reciproco : significa soprattutto che la relazione stessa costituisce il principio di esistenza di tutti i fenomeni fisici e psichici: senza relazione tra le cose e il mondo e il mondo e le cose, niente potrebbe esistere. Ogni entità psico-fisica è quindi un aggregato : la sua nascita, trasformazione, scomparsa è condizionata dalla nascita, trasformazione e scomparsa di tutte le altre cose del mondo e a sua volta le condiziona: in questo modo il mondo si autoproduce e si sostiene seguendo una regola immanente che ne è sia la causa sia lo scopo. Il Buddismo elabora una complessa fenomenologia ed una accurata analisi della dinamica degli aggregati: anche l' Io risulta composto da un equilibrio instabile di 5 aggregati ; in questo modo il pensiero orientale dissolve quella “consistenza” del soggetto che il pensiero di Cartesio aveva consegnato all' occidente.
Non-ostruzione: il testo fondamentale della non-ostruzione è l' Avatamsaka sutra , il sutra Buddista della ghirlanda di fiori (Hua-yen ching, Kengongyo); la scuola Buddista Giapponese Kegon (VII sec. d.C.) fonda la propria filosofia sul principio fondamentale dell' Avatamsaka sutra : “L' uno è il tutto , il tutto è l' uno” ... “si afferma l' interdipendenza delle cose nello spirito del buddhismo originario.Ma la scuola non se ne accontenta: aggiunge che tutte le cose sono identiche. Sono i corpi a velarne l' uguaglianza sostanziale. Il principio è sintetizzato nella formula jijimuge: « Tra una cosa e l' altra, niente ostacoli» . La realtà è come la rete di Indra, il dio della mitologia indiana: ogni perla è contenuta nelle altre, e le rispecchia. E' se stessa , e tutte le altre. ( Settima proposizione della gnoseologia del Kegon , cit da Leonardo Vittorio Arena, Lo spirito del Giappone, BUR saggi)( anche Pasqualotto cita come metafora dell' interconnessione la rete di Indra del sutra buddista Avatamsaka – Ghirlanda di fiori , fatta di gioielli che riflettono ognuno tutti gli altri e inoltre i riflessi di tutti i gioielli in un gioiello, e così via, ad infinitum... op. cit. pag 123). L' affinità concettuale del jijimuge con uno dei versi più poetici del Tao Te Ching è notevole:
...
la rete del cielo è così grande, così grande, A maglie larghe, eppure non perde niente.(cap 73)
(Tao Te Ching)
L' applicazione del jijimuge alla decima proposizione della gnoseologia Kegon aprirà la strada alla comprensione e all' estrapolazione cosmica del termine intermedio- al limite del mondo fenomenico - (Chu) della scuola Buddhista Giapponese Tendai; questo termine intermedio non divide come fa in Aristotele ma divide-e-unisce come fa il velo, cioè riassume : “Si potrebbe esprimere la decima componente attraverso il rapporto sostanza/attributi ... Il substrato è le qualità, le qualità sono il substrato. L' interscambiabilità dei termini è totale. Si tratta di una prospettiva che oltrepassa Spinoza, e le categorie occidentali acquistano nuovi significati. La relazione si gioca tra il principio supremo o regolatore (ri) e le cose (ji). Queste due categorie intrattengono tre tipi di rapporti. Nel primo si affermano le cose, percepite come separate. Nel secondo balza in primo piano il principio, e le cose sembrano svanire. Nel terzo si attesta la perfetta unità tra le cose e il principio” ( Leonardo Vittorio Arena. op. cit.). La scuola Tendai ( VII-VIII sec. d. C) interpreta il Saddharmapundarika sutra o sutra del Loto ( Avalokiteshvara, Hokkekyo) sulla base della decima proposizione Tendai , assimilando i tre rapporti ai tre livelli di realtà differenti ku, ke, chu , giungendo infine alla paradossale conclusione che «in ogni elemento dell' universo c' è l'universo intero». “ La comprensione dell' intermedio (chu) ci permette di stabilirlo... l' epistemologia del Tendai riconosce tre livelli di realtà: il vuoto (ku), l' esistenza provvisoria ( ke) e il medio (chu). Il vuoto è il ricettacolo delle cose, e le comprende tutte, pur non essendo un ente, né avendo qualità...il vuoto implica la totale assenza di significato del reale. Una volta ammesso , non si può più attribuire la concretezza assoluta all' esistenza. Questa concretezza , però, ci appare nel tempo e nello spazio: ciò significa che è provvisoria e fugace...le realtà è fluttuante...« Vuoto» ed « esistenza provvisoria» sono soltanto parole. Ci troviamo sul piano dell' interpretazione, rinviando agli opposti. Il vuoto, inoltre, non designa l' inesistenza. Gli adepti del Tendai optano per la precisione e si richiamano al medio quale tipo di realtà più autentica. Esso ingloba le altre due su un piano più elevato... Non è che il vuoto e l' esistenza provvisoria non siano concreti. Il medio, però, li supera. Si afferma una singolare dialettica. Le tre realtà si ritrovano in ogni cosa.”( Leonardo Vittorio Arena. op. cit.)
Ingenuità è “atteggiamento amoroso” verso il mondo , capacità di “lasciarsi possedere dalle cose” (Nietzsche, Frammenti Postumi) ... “il che significa riuscire a 'farsi piccoli'” per poter liberarsi dalla prigione dei pregiudizi ( Gian Paolo Lucato) e dalle false opinioni, “ma per fare questo, per lasciare libero il passaggio che sta tra noi e le cose, bisogna rimuovere tutte le barriere, abbattere tutte le difese, sbarazzarsi di ogni mediazione, ossia fare il vuoto, rendere la propria mente vuota da ogni 'erbaccia', pulita come uno specchio che riflette senza modificare.” (G. Pasqualotto, op, cit. pag 126).
“Come negli specchi: non avendo né forma né colore, tutte le ombre vi vengono riflesse. Se gli specchi avessero un colore e una forma, non rifletterebbero nulla. E' il vuoto che contiene sempre le cose.Parimenti, quando mille pensieri affiorano liberamente nel nostro cuore, non sarà forse perchè in realtà il nostro cuore è vuoto? Se il cuore avesse un padrone, di certo tante cose non potrebbero entrarvi”( Kenkō, op. cit.)
Bâlia “indica letteralmente uno stato paragonabile a quello di un fanciullo; è uno stato di non-espansione dove tutte le potenze dell' essere sono come concentrate in un punto , producendo con la loro unificazione una semplicità indifferenziata, apparentemente simile alla potenzialità embrionale” (René Guénon, op. cit.). L' innocenza è soprattutto l' istante dell' “incontro intimo con la natura, affascinante e maestosa anche nelle più semplici espressioni, ed è l' elemento più caratteristico dello Shinto; ogni luogo è considerato come abitato da “kami”, spiriti superiori, terrestri o inferiori dotati di peculiari poteri... si tratta quindi di una fede sensibilissima al mistero della energia latente in tutti gli esseri della natura” ( Bhikku Satori Bhante, Shintoismo, Rizzoli Ed.) . Questo incontro intimo è in modo sublime attuato dalla struttura architettonica giapponese più caratteristica del tempio Shintoista, il Tori, “che si presenta come un portale composto da due portanti verticali che sorreggono due travi orizzontali, simbolicamente essi significano delle grucce per posarvi degli uccelli”. In genere nei templi sono presenti tre torii, ma i portali più misteriosi sono quelli isolati e totalmente immersi nella vegetazione, anch' essi tautologici come le opere di Lucato poiché non conducono da nessuna parte se non nella stessa natura in cui già ci si trova.
Il Tori con la sua forma segna il termine di un pellegrinaggio : è insieme il luogo di sosta ( il presente ) e di passaggio che storicamente prefigura nello spirito Giapponese ciò che diventerà l' esperienza Zen del satori ... “è un modo di vita, un ' esperienza che tocca il fondo dell' essere... superare la porta , abbattere il muro di divisione significa distruggere la foresta di simboli che abbiamo creato , riconoscere nomi, pensieri, concetti come vane immagini, e raggiungere identità fra soggetto ed oggetto... in tal modo, le cose esistenti ci obbligano a prendere coscienza della loro realtà. In ciò consiste il sentire la realtà delle cose attualmente esistenti. ...e questa è una purezza che si ottiene soprattutto mediante una immersione cosciente e voluta nella natura....e in effetti , secondo la concezione shintoista, la immersione nella natura non è soltanto totale, ma è anche definitiva; le anime si separano dal corpo per rimanere nel mondo....” ( Bhikku Satori Bhante, op. cit.) E' curioso che la forma del Tori sia simile a quella del pi greco π , il numero irrazionale che definisce la misura della circonferenza ovverosia che identifica il cerchio (è quindi “porta” del cerchio) simbolo della totalità e allo stesso tempo del vuoto . Il Tori , configurazione della triplice possibilità temporale ( passato – presente – futuro) afferra la realtà fluida del Tempo plasmandola all' interno della realtà dell' Essere. Così si esprime María Zambrano ne “Il sogno creatore”: “La realtà-tempo è strada, ma anche passaggio: porto, porta”. La porta è una porosità che penetra l' immobilità e la staticità dell' Essere ; unendo la nascita con la morte , raccogliendo in sé il divenire delle forme viventi , essa rappresenta la condizione ontologica dello sviluppo della vita ; la porta è la soglia del risveglio della coscienza , il passaggio dallo stato di sogno allo stato di veglia e il successivo ritorno allo stato di sogno e così via , all' infinito . L' attimo del risveglio in cui la coscienza si libera dalla prigione-teatro del sogno e dalla prigione-teatro della veglia : questo istante vuole essere continuamente riprodotto perchè in esso ha sede la libertà che è tentativo di riempire un vuoto, cioè che è aspirazione, cioè che è imperfezione , cioè che è bisogno di quella parte di essere di cui ciascun uomo difetta per trasformarsi in monade assoluta, isolata: eterna perfezione. In un certo senso è come se l' uomo avesse dovuto rinunciare o fosse stato costretto, inconsapevolmente, a rinunciare ad una parte del proprio essere per vivere nel mondo in comunione con le cose e con gli altri uomini; la parte mancante è stata trasferita ad una collettività d' essere che , come un magnete, continuamente ci attira a sé . Il tempo è il fondamento della relazione, l' alter-ego oscuro dell' essere, il vuoto, la mancanza d' essere: non-essere. Il non-essere è quindi condizione di libertà e il “tempo rappresenta la strada dell' uomo nell' essere”.
Il Grande Sapere che viene dall' innocenza non è erudizione e non può essere insegnato ma solo vissuto; vertice e pienezza dell' esperienza della liberazione da tutti i vincoli e scopi, è “libertà, nel rapporto con le cose, dalle idee, dai sentimenti, dalle parole”. Il Grande Sapere supera il paradosso implicito al Nirvana, l' ultimo baluardo del desiderio :“non si deve restare attaccati alla propria liberazione.... non si deve restar attaccati alle nostre proprie virtù e sacrificare noi stessi come totalità” (Nietzsche , in Al di là del bene e del male). Poiché non esiste più una norma morale esterna al soggetto , la virtù ( Tê ) del saggio sorge spontanea uniformandosi al processo naturale della trasformazione : “Come la natura, infatti, il saggio procede senza fissarsi degli scopi e senza emettere giudizi... la virtù è intesa come qualità propria, come capacità naturale ...la volontà del saggio appare come un modo della sua potenza, come espressione di una sovrabbondanza, e non come una facoltà autonoma in grado di adeguare un' azione a un ideale: per il saggio non sussiste la separazione tra l' io che vuole e l' oggetto voluto... quello che egli fa scaturisce da una sovrabbondanza di energia...Il saggio sa che la capacità di distinguere è la condizione necessaria della capacità di connettere e che, invece, il discriminare è una fase patologica, un' ipertrofia del distinguere, che impedisce la connessione: il discriminare appare come un accecamento prodotto da una luce troppo violenta emanata da un principio o da un valore assoluto. Chi discrimina, infatti, separa nettamente, oppone e contrappone il vero contro il falso, il bello contro il brutto, il bene contro il male, soffocando così,con una sola grande differenza, l' infinita molteplicità delle differenze.” (G. Pasqualotto, op. cit. pag. 147 -148)Accecamento è il destino di Edipo.
Dopo aver raggiunto un punto morto, trasformati; dopo esserti trasformato, passa oltre ( La raccolta della roccia blu)
Nietzsche descrive in questo modo la condizione del Saggio :
“si vive così, non più nelle catene dell' amore e dell' odio , senza sì, senza no, volontariamente vicino, volontariamente lontano,sempre preferendo sgusciar via, scansare, volar via, rivolar via , rivolare in alto”. (Nietzsche, in Umano, troppo umano) : attraverso queste parole forse egli ci parla della natura degli uccelli invisibili, appollaiati sopra i Torii, che volano “oltre”.
La solitudine : Tranquillità -Grande pace( Es-Sakînah , Araba)– Grande Vuoto - Pax Profunda (tradizione RosaCrociana)- Luce della Gloria(Apocalisse)- Ananda (Beatitudine, tradizione Hindù)-Shekinah ( presenza reale di Dio, tradizione Ebraica) – Nirvana ... tutti questi sono sinonimi per indicare la medesima esperienza ineffabile che costituisce il vertice della Liberazione e che non può essere descritta aggiungendo ulteriori parole. Di fronte al mistero è necessario fermarsi.
Anche in Chuang Tzu ritroviamo la medesima successione:
Nan-kuo Tzu-ch' i domandò a Nü Yü: “Sei vecchio d' anni ma dall' aspetto sembri un fanciullo.Come mai?” “Ho appreso il Tao” rispose l' altro. “Il Tao può essere appreso con lo studio?” chiese Nan-kuo Tzu-ch' i ...
“L' ho appreso dal figlio della scrittura,che l' apprese dal nipote della lettura, che l' apprese dall' intelligenza, che l' apprese dall' attenzione, che l' apprese dalla flessibilità, che l' apprese dall' oscurità, che l' apprese dal vuoto, che l' apprese dal senza- inizio” ( da Testi Taoisti, a cura di Fausto Tomassini, UTET 1977)
Alla luce di quanto esposto emerge una stretta affinità concettuale tra la phisis eraclitea, il diafano aristotelico, la tridevi hindù e il Tao di Lao Tzu ; nel 3 capitolo ( I precursori dell' idea di sincronicità) del suo saggio La Sinronicità come principio di nessi acausali del 1952 Gustav Jung così parla del Tao ( Bollati Boringhieri ed., collana I Grandi pensatori):
“Lao Tze lo definisce “Il Nulla”, esprimendo così – come dice Richard Wilhelm-soltanto la sua anteticità al mondo della realtà...Il concetto di Tao domina tutto il pensiero e la concezione del mondo dei cinesi. Richard Whilelm ha interpretato genialmente Tao come “senso”... Il “Nulla ” è evidentemente il “senso” o “scopo” ed è chiamato Nulla perchè non compare in sé e per sé nel mondo sensoriale, ma ne è soltanto l' ordinatore. Dice Lao Tze:”
Lo si cerca con gli occhi e non lo si vede, Ciò significa, espresso con un nome: ciò che è aereo. Si tende l' orecchio o non lo si ode, Ciò significa, espresso con un nome : il sottile. Si tende la mano e non lo si afferra, Ciò significa, espresso con un nome : l' incorporeo
...
Significa la forma senza forma, L' immagine senza cosa, Significa il nebuloso – svanito. Se gli si va incontro non si vede il suo volto, se lo si segue non si vede il suo dorso. (cap 14)
...
Così indistinte, così nebbiose Sono in lui le immagini, Così nebbiose, così indistinte Sono in lui le cose...(cap 21)
...
Quanto è calmo ! E quanto è vuoto! Autonomo e immutato, Vaga in cerchio senza ostacoli. Si può considerarlo la madre del mondo.(cap 25)
...
la rete del cielo è così grande, così grande, A maglie larghe, eppure non perde niente.(cap 73)
(Tao Te Ching)
Nel pensiero di Jung il Tao, precursore del principio (archetipo) ordinatore, è ciò che collega la psiche e il mondo conferendo il senso alle cose attraverso la rete delle loro correlazioni ;” si tratta dunque- scrive Wilhelm – di una concezione al limite del mondo fenomenico. In questa concezione le antitesi sono “eliminate nell' indistinzione”, ma potenzialmente esistono già...è una unità aspaziale ( niente 'sopra' e niente 'sotto') e atemporale ( niente 'prima' e niente 'dopo')” .Il Tao precede l' origine della coscienza : “Chuang Tze dice a proposito del presupposto psicologico del Tao: lo stato in cui Io e Non-Io non formano più alcun contrasto si chiama perno del Tao.” L' esigenza di genesi simmetrica, la tendenza all' equilibrio inteso come ricongiungimento delle istanze psichiche divise nel Sé, la riappropriazione della totalità psichica è così espressa nella poesia Zen di Shoiki:
Il cerchio che tutto comprende: Né dentro , né fuori; Né luce, ne ombra. Qui sono nati tutti i santi.
(Shoiki 102-1280 ; da Poesie Zen , Newton Ed.)
Metafora del diafano in Lucato è il binomio luminosità-oscurità, destabilizzante presenza di luce ed ombra che ovunque filtra tra le maglie dell' opera (crisis dell' immagine) e che non può appartenere all' ottica percettiva (non è mimesi) bensì precede tale immagine proprio perchè è il modo costitutivo ed espressivo in cui si attua la trasformazione naturale . L' influsso della seduzione dell' estetica Greca classica si rivela in Lucato , come abbiamo già detto, attraverso la scelta e l' utilizzo di temi che appartengono a questa Civiltà o che ad essa riconducono ( miti, geometria Euclidea, figure etc) ; la Grecia rappresenta quindi la Madre spirituale dell' artista, e sappiamo come in psicanalisi “ il distacco dalla madre sia un passo importantissimo nello sviluppo “ del bambino ( il bambino-artista, in questo caso) , “più di un semplice cambiamento dell' oggetto... Certo le aspirazioni attive hanno subìto una maggior frustrazione, si sono dimostrate assolutamente irrealizzabili e perciò vengono anche più facilmente abbandonate dalla libido, ma anche dalla parte delle aspirazioni passive le delusioni non sono mancate”.( Freud, La sessualità femminile, op. cit.).Secondo la psicanalisi Freudiana, il primo seduttore ( sia del bambino che della bambina, nella fase pre-edipica) è sempre la madre; in questa fase precoce dello sviluppo della sessualità infantile ( si parla di un periodo che oscilla tra il primo ed il terzo anno di vita) è ancora presto per parlare di mascolinità e femminilità , la bisessualità originaria dell' individuo si manifesta invece come un atteggiamento, una mescolanza di aspirazioni passive e di aspirazioni attive , con prevalenza della passività . Questa passività in Lucato è rappresentata dall' accettazione del canone greco che acquisisce e piacevolmente subisce; a questo punto però la libido deve abbandonare il proprio oggetto iniziale poiché anche il percorso artistico ( come la sessualità) deve completare il suo naturale sviluppo, non può regredire e fissarsi patologicamente alla prima fase. L' importanza dell' analisi dello stile è ribadita da Emile Benveniste nel saggio “Note sulla funzione del linguaggio nella scoperta freudiana” ( 1956, op. cit) ; i concetti espressi dal Benveniste si possono applicare allo studio dell' immagine qualora si intenda , per stile, lo studio del particolare ( in questo caso è la soggettività dello stile che in estetica rappresenta la “differenza”, il fra - la scissione – la fessura – la crepa- il taglio- la ferita ) in rapporto all' universalità del messaggio che la tradizione ha storicizzato e standardizzato ( il canone estetico diventa il cosiddetto “tappeto” artistico; il distacco dalla tradizione ( la madre, il padre) richiede una scissione : questa mutilazione prodotta dalla “ferita” genera dolore ). Lo stile è soggettivo – dice il Benveniste - vi è quindi la necessità di estrapolare il soggettivo dall' universale del “discorso” per poter far emergere alla coscienza ciò che l' Io ha rimosso : la motivazione costante, l' intenzione nascosta che in Freud coincide con la realizzazione di un desiderio trasgressivo e vietato ( irrealizzabile come , ad esempio, il desiderio di incesto con la Madre Grecia: vedi il complesso di Edipo): “ La caratteristica della negazione linguistica è che essa può annullare solo quanto è enunciato, che deve formulare esplicitamente quanto vuole sopprimere e che un giudizio di non-esistenza ha anche necessariamente lo status formale di un giudizio di esistenza. La negazione è quindi in primo luogo accettazione. Completamente diverso è il rifiuto di accettazione preliminare che viene chiamato rimozione ...della rimozione allora non rimane altro che una ripugnanza a identificarsi con questo contenuto” ( op. cit.) Dare voce al contenuto rimosso significa tradurre in termini linguistici ( razionalmente ed emotivamente comprensibili) questo tipo di negazione ovverosia dare voce al tabù ; solo così è possibile reincorporare nell' ambito della propria coscienza ( sulla base del “principio di realtà”: il riferimento è qui alla realtà esperita e vissuta nel presente dal soggetto, la quale comprende l' influenza dominante dell' etica sociale con i condizionamenti da essa imposti ; analogamente , in campo artistico, ciò è equivalente al canone estetico) ciò che prima non poteva esser nominato e che sussisteva , carico di prorompente e insopportabile affettività, esclusivamente ed emotivamente solo all' interno dell' inconscio personale : rendere esplicita, reale, fisica, nominabile la negazione per poterla così presentare alla coscienza e finalmente accettare ( il potere curativo della parola e dell' immagine della terapia psicoanalitica). La razionalizzazione attraverso la parola e l' immagine consente a Gian Paolo Lucato , con il “doloroso” taglio inferto alla superficie dell' opera di poter scaricare all' esterno quel carico emotivo prodotto dalla istintiva e primordiale pulsione libidica e cioè di risolvere il “conflitto interno”( il taglio è doloroso in sè, ma vi è una componente sia masochistica sia sadica in quest' operazione compiuta dall' artista , poiché questa ferita è inferta, come abbiamo già visto nella Melancolia, contemporaneamente a sé stesso e alla propria Madre Grecia , e soprattutto alla Dea greca che più incarna l' ideale classico: la vergine Athena ; questo è un tipico esempio di condensazione dell' attività simbolica in cui odio e amore coesistono nella medesima funzione psichica: odio verso se stesso= masochismo= automutilazione= castigo – odio verso la madre= sadismo = ferita al canone greco= vendetta etc. ): il taglio rappresenta quindi lo sfogo di un fattore eminentemente passionale, la possibilità di sublimazione dello stupro e contemporaneamente la “maglia rotta” attraverso cui la pressione psichica interna all' opera si stempera all' esterno coinvolgendo lo spettatore e trasformandolo , inconsapevolmente, da semplice curioso in attore e in complice. In questo senso l' opera di Lucato è pericolosa: essa sconvolge il rapporto neutrale che sta alla base della finzione teatrale per cui l' opera stessa agisce come la dea Išthar, fagocita il tranquillo ed inconsapevole spettatore trasformandolo in Edipo. Questa proprietà morfogenetica è una capacità tipica dell' inconscio collettivo Junghiano, “ Infatti basta che l' inconscio ci sfiori, perchè noi diventiamo lui , giacchè diventiamo inconsci di noi stessi. Questo è il pericolo primigenio ... per l' uomo primitivo... La sua coscienza è ancora insicura e poggia su basi barcollanti, è ancora infantile... è facile che un' ondata dell' inconscio la travolga , e che egli dimentichi chi egli è... naufraga cadendo in preda a fenomeni di possessione”( 1934-54 ,Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell' inconscio collettivo, ed. Bollati Boringhieri). Il fascino dell' opera è legato in particolar modo al suo carattere numinoso: la presenza della soglia stretta, ( l' immagine della fessura) e soprattutto del busto femminile classico nel suo cangiante , iridescente aspetto , ci introducono nel Mito ancestrale della Grande Madre e nel mondo trascendentale della psichè evocando gli archetipi dell' ombra e dell' anima. La donna , madre e prostituta ( si noti come il velo sia etereo, ed etère presso gli Elleni erano le cosiddette amiche e cortigiane, termine ambiguo che conferiva un senso “familiare” alle prostitute d' alto bordo; inoltre il termine etere è quasi sinonimo di étere, la quintessenza dello stato di sogno matrice delle 4 sostanze che compongono le cose e quindi in grado di trasformarsi in esse: fuoco-aria-acqua-terra ) possiede le caratteristiche archetipiche dell' Anima; ecco le citazioni dal saggio di Jung in rapporto diretto con il significato onirico delle rappresentazioni di Lucato e che evidenziamo in neretto:
”L' Ombra è , in verità, come una gola montana, una porta angusta la cui stretta non è risparmiata a chiunque scenda alla profonda sorgente...L' Anima è conservatrice e si attacca in modo esasperante all' umanità antica. Perciò appare spesso e volentieri in abito storico, dimostrando una particolare preferenza per la Grecia e l' Egitto...con l' archetipo dell' Anima incontriamo il regno degli dei, cioè la regione che la metafisica ha riservato a se stessa. Tutto quello che l' anima tocca, diventa numinoso, cioè assoluto, pericoloso, soggetto a tabù, magico... la vita in sé non è soltanto un bene, ma è anche cattiva. Poichè vuole la vita, L' Anima vuole il bene e il male...gli spiriti dei boschi , dei campi e dei corsi d' acqua sono assai anteriori al problema della coscienza morale... l' Anima crede nel kalon kagathon (il bello e il buono), concetto primitivo anteriore alla scoperta tra estetica e morale.... L' ondina rappresenta un livello ancor più istintivo dell' essere femminile incantatore che io designo con il termine latino Anima. Possono essere anche sirene, melusine, ninfe dei boschi, grazie e figlie del re degli elfi, lamie e succubi, (anguane) che seducono i giovani e succhiano loro la vita.... la conturbante “ondina” dei tempi andati si chiama oggi “fantasia erotica”... l' anima è piena di lacci e tagliole tese per far cadere l' uomo, fargli raggiungere la terra, svilupparvisi e restarvi legato (la rete)... L' anima non ci si fa più incontro come una dea, ma, a volte, come il nostro più personale equivoco o la nostra migliore avventura...”
Abbiamo già parlato della Prostituta Sacra; un' altra famosa e trasgressiva prostituta nella storia dell' arte è l' Olimpia di Manet. Lucato ci presenta un corpo femminile nudo , un busto semidisteso in atteggiamento rilassato e provocante che ricorda vagamente l' Olimpia , ma privo della testa. Sopra si possono confrontare le due opere, quella di Manet e quella di Lucato (nonostante la rotazone di 180 °, le rispettive proporzioni sono state mantenute); si può osservare :
A partire da queste banali indicazioni possiamo ipotizzare che il simbolo floreale in Manet sia una metafora dell' organo sessuale nascosto ( l' oscurità stessa ( la donna nera) porge alla donna bianca il bouquet di fiori rivelando ciò che la mano bianca nasconde : il bouquet è a forma di guaina, pellicola protettiva, e in latino vagina significa fodero); allo stesso modo in Lucato la foresta diventa metafora di ciò che nell' opera non possiamo vedere ma solo immaginare , ovverosia del viso e dell' organo sessuale. Il senso di intimità ed affettività che lega Lucato alla figura femminile rappresentata nasconde ciò che per l' autore è un tabù.
L' Anima nel processo di individuazione Junghiano può diventare sia la via di salvezza (il sentiero che conduce alla reintegrazione della psichè nella totalità del Sé , madre e rete che trattiene e contemporaneamente lascia scorrere Io e Non-Io ), sia la via di perdizione ( il sentiero patologico della disintegrazione psichica che separa senza rimedio le istanze psichiche , prostituta e rete avvolgente nelle sue spire: metafora del ragno). L' ambivalenza di questo archetipo pone l' artista davanti ad una scelta: la necessità di fuga dal canone greco della bellezza per salvaguardare la sopravvivenza della propria arte . D' altro canto anche nel quadro di Manet è presente l' ambiguità femminile: le due donne presenti (condensate in un ' unica figura in Lucato) possiedono caratteristiche simboliche in contrapposizione: Olimpia, bianca, è insieme bellezza e sterilità ( sterile è infatti la prostituta, il cui scopo è voluttà ed esclusività del godimento estetico ; coprendo l' organo sessuale con la mano nasconde la sua assurdità biologica , la vergogna di non poter concepire; Athena , che è Dea dell' Olimpo, è anch'essa “sterile”: il suo destino di vergine non le consente di riprodursi ) ; la negra porge invece il mazzo di fiori : ad essa compete l' oscura potenza riproduttrice della vita . Questi caratteri antagonisti presenti sia nel quadro di Manet sia nell' opera di Lucato hanno un preciso fondamento storico nel Mito della “Dea Madre , o Grande Dea, uno dei motivi essenziali della fede e della società nell' Europa Neolitica” : di esso vi è testimonianza archeologica nelle Veneri paleo e neolitiche di “evidente significato religioso” ; le “ rappresentazioni di donne nelle quali si evidenziano con molta forza i tratti sessuali primari costituiscono le rappresentazioni umane più caratteristiche del paleolitico superiore” : le statuine attualmente conosciute – circa 500 quelle paleolitiche, più di 30.000 quelle neolitiche ( diffuse soprattutto nel periodo Magdaleniano, circa 15.000 – 8500 anni fa) .- sono state ritrovate “in grotte e caverne ...sino a max 400 m di altezza sul livello del mare,... il 95% in una fascia assai stretta ( 300 Km c.ca) denominata “ asse della cultura iconografica femminile ( Mondo della Dea Madre : definizione dell' archeologa Marija Gimbutas)” e che si estende , in Europa, per ben 3000 km di lunghezza , dai Pirenei occidentali fino alla valle media del fiume Don ( Voronez, Russia)” (Pepe Rodriguez; Dio è nato donna/I ruoli sessuali alle origini della rappresentazione divina, Editori riuniti)”; alcuni areali sono sparsi anche in Italia e in Siberia e sembra che vi sia un qualche contatto attraverso la penisola Anatolica con le culture di phylum linguistico Dravidico dell' India meridionale: “Insieme a Harappa e a Catal Huyuk, gli scavi degli archeologi hanno dissepolto consonanze e assonanze fra l' India Pre-ariana , L' Anatolia neolitica e il Mondo della Dea Madre”. La figura di Shiva stesso è autoctona dell' India ed è in origine ermafrodita : “prima di essere inglobato nella Trimurti dagli invasori Ariani, probabilmente Shiva era il Grande Dio (Mahesvara, Mahesa) della civiltà della Valle dell' Indo e il suo culto ancora oggi è praticato nella sua forma più intensa nelle regioni meridionali: Hara è uno degli appellativi di Shiva”(Gianluca Bocchi e Mario Ceruti, Origini di storie, Feltrinelli ed.). Le statuine paleolitiche rivelano l' esistenza di culture pre-indoeurope sedentarie dedite all' agricoltura e quindi legate ai simboli della terra e della fertilità , il cui “ Pantheon religioso è organizzato intorno alle dee piuttosto che agli dei” . La Dea Madre è una “figura cosmogonica centrale, la potenza o forza procreatrice dell' universo ... essa era partenogenetica, cioè generatice di vita a partire da sé stessa”( Pepe Rodriguez, op. cit) ; essa è presente nel duplice aspetto della Dea gravida e della Dea bianca probabilmente proprio in funzione del significato simbolico ambivalente dei due feticci nel ciclo della vita i quali furono probabilmente utilizzati nei riti di fecondità , di morte e di rinascita . Sin dalle origini il ciclo dell' esistenza fu concepito come una continuità tra stati complementari della vita super terram ( fasi terrestri: nascita - creazione - distruzione - morte ) e della vita sub terram (fasi dell' oltretomba) . “Appare chiaro che la figura femminile serviva a materializzare la presenza e le funzioni della potenza o essere superiore, obiettivo del rituale... sono molto abbondanti le figurine la cui testa sembra essere stata rotta di proposito da coloro che le avevano possedute; sono stati anche trovati depositi di statuette decapitate e altre di teste senza corpo - ciò aveva forse qualcosa a che vedere con l' ancestrale pratica funeraria di inumare il cranio separatamente dal resto dello scheletro?”( Pepe Rodriguez, op. cit) .Anche il busto di Lucato manca della testa. A partire dal 10.000 a.C. c.ca le culture pre-indoeuropee furono sconfitte da tribù nomadi androcratiche ( con società a struttura piramidale il cui pantheon riflette questa predominanza delle divinità maschili sulle divinità femminili ) provenienti da ovest ( indoeuropee, zona d' origine più probabile è il Mar Caspio : tra gli Indoeuropei si annoverano i Greci) e da sud ( semitiche, zona d' origine più probabile è il deserto sahariano, forse costrette a spostarsi a causa della desertificazione indotta dalla post-glaciazione Wurmiana : tra i Semiti si annoverano gli Ebrei); queste invasioni avvennero in migliaia di anni e in fasi successive , ma alla fine le tribù pre-indoeuropee furono assogettate o chiuse in areali sempre più ristretti ed isolati; i loro culti paritari ( gilandrici) furono soppiantati dai nuovi culti dominanti e ciò equivalse ad una decapitazione culturale e cultuale. Le loro divinità femminili non scomparvero dal tutto ma persero la propria originaria “autorità” ed assunsero quei caratteri “negativi” che la donna incarnò da quel momento in queste società maschiliste ; alcune di queste divinità furono incorporate funzionalmente in divinità maschili che tuttavia conservarono un certo carattere ermafrodita ( es Hermes, Shiva etc). Nel sentiero dentro alla foresta alla ricerca del tempo perduto , Lucato incontra una di queste bianche statue nel momento in cui ritorna alla vita: i veli colorati sono gli strati della muta , come accade nel rituale del serpente.
Senza mai pensare alla fama, Un attimo di tormentata vita alle spalle, Le gambe incrociate nella bara, Sto per cambiare pelle.
(entrando nella sua bara, Baiho 1633 – 1707)
La presenza del velo nella foresta, lo squarcio verticale, il busto classicheggiante privo di testa di Lucato sono figure collegate al mito di Perseo e Medusa . Interessante è l' interpretazione estetica Freudiana del conflitto tra le due primitive pulsioni psicosessuali : la pulsione libidica (Eros) e la pulsione di morte (Thanatos); da questa lotta scaturisce infatti il concetto di “masochismo estetico.. il quale ... sarebbe dunque una testimonianza e un residuo di quella fase dello sviluppo in cui ha avuto luogo la fusione della pulsione di morte e dell' Eros, che tanta importanza ha per la vita” (dal saggio Il problema economico del masochismo, Freud , op.cit.) .Stranamente, in alcune righe di questo saggio Freud compie una audace contaminazione tra teoria psicanalitica delle pulsioni , biologia e filosofia; cito testualmente Freud: “ Nell' essere vivente (pluricellulare) la libido si imbatte nella pulsione di morte o di distruzione, che domina quest' organismo cellulare e cerca di disintegrarlo portando tutti i singoli organismi unicellulari allo stato della stabilità inorganica ( anche se quest' ultima può essere soltanto relativa). La libido ha il compito di mettere questa pulsione distruttiva nell' impossibilità di nuocere, e assolve questo compito dirottando gran parte della pulsione distruttiva verso l' esterno, contro gli oggetti del mondo esterno...La pulsione prende allora il nome di pulsione di distruzione , di pulsione di appropriazione, di volontà di potenza” .In queste parole il riferimento ad Eraclito e a Nietzsche appare evidente, nonostante Freud interpreti in modo non corretto il concetto Nietzschiano di volontà di potenza che filosoficamente e filologicamente non significa prepotenza, potenza distruttrice, bensì dono gratuito, sovrabbondanza , grazia straripante:
“E allora benedicimi,occhio placido, che senza invidia puoi contemplare anche una troppo grande felicità! Benedici il calice che vuol traboccare, affinchè dorata ne fluisca l' acqua, recando ovunque il riflesso della tua giocondità! Vedi: questo calice vuol ridiventare vuoto, e Zarathustra vuol ridiventare uomo” (Nietzsche, Zarathustra, BUR Edizioni)
. Questa fusione, questo “abbraccio fecondo tra l' esistenza e il nulla, o i due piani che Nietzsche definiva l' apollineo e il dionisiaco” (Leonardo Vittorio Arena, op. cit.) trovano una corrispondente categoria estetica nello yugen del Giapponese Seami (1363 – 1443; fondatore ,assieme al padre Kiyotsugu Kannami, e teorizzatore del Teatro di No con l' opera Kyui shidai, La scala dei nove gradi) : “ è arduo delucidare l' essenza di questa categoria ...il termine allude a una profondità misteriosa ...lo yugen è l' incanto sottile ... scoprire nella natura il carattere dell' insolito: ciò segna l' abbraccio, per Seami, del fiore e dell' uccello, della donna stupenda con l' ambiente. La bellezza può celarsi in ogni istante” (Leonardo Vittorio Arena, op. cit.) . “Il vocabolo yugen è costituito da due parole: Yu, impercettibile, invisibile, quiete; e gen che vuol dire: nero, oscuro, ma che passò a significare profondo, impenetrabile, arcano...Solo dopo il 1000 cominciò a essere usato in senso estetico-letterario nella poesia, e dapprima come sinonimo di yoyo, che potremmo tradurre con risonanza, cioè sfondo , immagine evocata dalle parole e al di fuori di esse”( Marcello Mucciolo, op. cit.) . Alla base dello yugen c' è quindi la consapevolezza dell' innafferabilità delle cose e della loro essenza .Il masochismo estetico è quindi il momento in cui l' artista scopre nella bellezza il tocco imprescindibile e persistente della morte . Il velo esalta la bellezza della sposa proteggendone il viso dallo sguardo penetrante; quindi , solo nell' integrità il velo riesce a preservare il segreto che appena appena lascia intravvedere, immaginare. E' lecito ipotizzare in Lucato la rimozione freudiana del volto femminile che il taglio del velo , svela ; tale rimozione ha un preciso significato sia sul piano psicologico ma soprattutto sul piano estetico ed ontologico, come possiamo comprendere leggendo “ Il Sogno creatore” di María Zambrano: quando un enigma è tautologico, non può essere risolto razionalmente. La sorgente della potenza delle cose rimane segreta... il “diafano” aristotelico , fonte inesauribile dell' arte, costituisce la radice nascosta, attiva e vitale della materia e solo lo sguardo luminoso dell'intelletto , che sorge in seno alla materia stessa, può risvegliarla dal sonno cosmico e atemporale in cui sprofonda , e così trasmutarla ed elevarla alla coscienza - rendendola consapevole di se stessa a se stessa - : “ Chiamiamo materia quanto pesa ed è impenetrabile, quanto non solo si caratterizza , ma si definisce per il fatto stesso di occupare un luogo nello spazio... I corpi in quanto tali sembrano emergere dal fondo dello spazio dove potrebbero ritirarsi per poi ricomparire... solamente quando un corpo si muove in modo singolare, particolarmente rivelatore, si nota in esso qualcosa in più della semplice materia, come un qualcuno quando emette segnali carichi di intenzione, in sommo grado la parola e il canto...
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Durante il sonno tutta quell' azione, primigenio trascendere della vita, diminuisce lasciando apparire, come un mare che si ritira dalla spiaggia, i corpi degli esseri vivi in abbandono, più corporei che mai.
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La materia si fa sentire come il supremo ostacolo alla luce . Sicchè una materia come il cristallo, che la lascia passare quasi filtrandola, è sempre stata giudicata preziosa: una specie di adeguata risposta alla luce offerta dall' opaca terra, e se si tratta di un' opera d' arte, sarà un' opera al confine del sacro. Così il cristallo viene ad essere una rivelazione della luce: se è bianco, la rivela nella sua massima purezza...E così i corpi diafani o semidiafani prodotti naturalmente acquistano valore di simboli; lasciano passare non soltanto la luce, ma anche lo sguardo che entra in essi come mezzo più favorevole che risponde a un anelito recondito di vedere dentro i corpi, di penetrare l' opacità, cosa che, se si ottenesse, sarebbe già come leggere...Di fatto , la materia ha risvegliato in tutte le epoche nel cuore umano l' aspirazione a veder operarsi in essa una trasmutazione...Soltanto l' ansia di trasmutare la materia inerte o di estrarre il principio puro e attivo in essa sepolto ( la quintessenza, l' etere o étere in quanto prostituta sacra) , partecipando umanamente alla creazione, può spiegare la conoscenza operativa e la sua audacia, si chiami essa alchimia, fisica o matematica”. ( María Zambrano, “Il sogno creatore”, Bruno Mondadori)
La foresta rappresenta la testa della Medusa, cui Freud ha dedicato un saggio : le sue sue chiome ( il fitto intreccio della ramificazione degli alberi simili a serpenti : simboli fallici) sono metaforicamente raffigurate e ne esaltano la sublime e pericolosa bellezza:
“Nulla turba il cuore dell' uomo, in questo mondo, come l' appetito dei sensi...Il saggio Kume perse il suo potere soprannaturale per avere visto il candore delle gambe di una donna ...in una donna è lo splendore della capigliatura che sembra attrarre con più forza lo sguardo dell' uomo ...e invero questa passione ha radici profonde e sorgenti lontane”
(Kenko, op. cit)
Tuttavia , a causa della trasparenza del velo, il meccanismo di rimozione freudiano è inefficace : l' archetipo universale scavalca il rimosso individuale perchè vuole essere riscoperto; ciò che nel sistema Freudiano appare come uno scacco alla rimozione si integra perfettamente nel processo di individuazione Junghiano : gran parte della pulsione distruttiva è dirottata verso l' esterno dell' opera. Lo sguardo disvelante non è più quello dell' osservatore che cerca di penetrare il velo, bensì è lo sguardo di Medusa che procede dall' interno dell' opera verso l' esterno. La sua testa è abnorme è non può essere nascosta da un velo semitrasparente e verticalmente squarciato ( la decapitazione della testa di Medusa) ; come la rimozione cela all' Io cosciente ciò che il suo sguardo non è più in grado di sopportare, anche lo sguardo dell' osservatore deve essere protetto dall' occhio pietrificante della malinconia . L' archetipo del mito riemerge integralmente dal profondo dell' inconscio collettivo attraversando nell' opera di Lucato l' intera gamma della propria variabilità energetica , a partire dall' impotenza ( anche sessuale, che secondo Freud è collegata al cosiddetto masochismo femmineo) sino alla prepotenza ( connessa con il meccanismo del sadismo). Vi è una critica di ordine metodologico implicita alla mera applicazione della teoria freudiana all' opera artistica , critica ribadita anche dal linguista Benveniste nel saggio sovrariportato; d' altro canto Freud stesso è stato “costretto” a rivedere le proprie idee, e quindi ad evolvere, in contrapposizione alle nuove concezioni via via elaborate dai suoi migliori allievi ( i suoi “figli” prediletti) : la storia della psicanalisi , intesa come storia dell' interazione psichica tra i suoi fondatori, riassume in un certo senso la storia del suo oggetto di studio e ciò determina necessariamente una certa confusione tra il piano epistemologico ed il piano teorico: la psicanalisi in prima istanza è psicanalisi di se stessa con tutte le aporie che questo comporta. Freud stesso tende infatti a conferire alla propria persona quel carattere assolutistico che ritroveremo in seguito nel concetto di Super-Io , e come tale si porrà in relazione con le figure dei propri figli “eretici”( Jung, Adler, Rank...) ai quali , se avesse potuto, avrebbe volentieri applicato la parabola del figliol prodigo. Freud ha interpretato i rapporti con propri allievi come se fossero stati le proiezioni delle istanze psichiche antagoniste nel momento della loro insorgenza e quindi , di fatto, attraverso la negazione ( rimozione) ne ha convalidato l' esistenza: il Super-Io Freudiano si forma in contrapposizione al Sè Junghiano. Per capire questo fatto, basta osservare la seguente tabella:
Come nel profondo della psiche il rapporto tra gli opposti si dimostra dialettico, complementare, così avviene nel simbolo del mito: Medusa è la sorgente oscura e segreta della potenza delle cose , Athena è lo sguardo luminoso dell'intelletto che da Medusa sorge; Medusa è l' ossimoro inspiegabile della vita e della morte , Athena è il telos, la coscienza della vita e della morte; Medusa è il dionisiaco, Athena è l' apollineo; Medusa è la Terra, Atena è il Cielo; Medusa è l' antica sacerdotessa libica con il capo ricoperto dal velo e consacrata al culto lunare, Athena è la dea che nel pantheon dei conquistatori greci ha decapitato e sostituito Medusa incorporandola nel suo scudo ; Medusa è il passato, Athena è il futuro; Medusa è Freud, Athena è Yung. Medusa ed Atena sono le potenze nascoste e complementari del principio enigmatico ( la sfinge) che ispira e attraversa l' opera di Gian Paolo Lucato .
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